Piromani o pompieri/ Il bipopulismo italiano (2019-2022) e tre temi

(f. cundari) Tutti i retroscena ieri erano concordi nel raccontare l’estremo tentativo compiuto da Enrico Letta, Dario Franceschini e Roberto Speranza, nella pausa tra dibattito e replica, per convincere Giuseppe Conte a votare la fiducia al governo Draghi. Non certo per salvare l’esecutivo, ormai spacciato, ma per salvare l’alleanza con il Movimento 5 stelle.

È una fortuna che non ce l’abbiano fatta, ma è sconcertante che ci abbiano provato. Un simile tentativo si può capire, al limite, da parte di Speranza e del suo partito, sin dall’inizio assai più vicino a Conte che a Draghi. È incredibile e imperdonabile da parte di chi, come Letta, sia prima che dopo ostentava una posizione diametralmente opposta, a sostegno di Mario Draghi, salvo tentare così di rimescolare le carte, vanificando tutto il solenne discorso del presidente del Consiglio e il suo tentativo di chiarire una buona volta posizioni e responsabilità.

Un simile tentativo sconcerta per l’effetto che avrebbe avuto nell’immediato, intorbidando le acque e alimentando un gioco delle parti semplicemente grottesco, ma sconcerta ancor più per il suo obiettivo ultimo.

Come si può pensare di denunciare l’irresponsabilità di Lega e Forza Italia nel far cadere il governo Draghi e al tempo stesso presentarsi alle elezioni con chi quella crisi l’ha aperta? Sarebbe come se tre anni fa il Pd avesse denunciato la minaccia autoritaria rappresentata da Matteo Salvini nello stesso momento in cui incoronava come proprio leader e punto di riferimento l’uomo che fino al giorno prima aveva controfirmato tutti i suoi provvedimenti.

Come dite? Esatto. È quello che è successo. È quello che succede ininterrottamente da tre anni. È quello che su Linkiesta abbiamo definito sin da allora, per la precisione dal 19 ottobre 2019, bipopulismo: la deriva di un sistema in cui la logica del bipolarismo di coalizione, ben lungi dal costituzionalizzare le estreme, ha sempre più radicalizzato le forze centrali, fino a consegnare l’intero arco parlamentare all’egemonia del populismo.

Le forze che intendono fare del discorso di Draghi la propria bandiera devono spiegare, a se stessi prima che ad altri, chi e che cosa ha impedito di realizzarlo, ed essere conseguenti. O si sta con i piromani o si sta con i pompieri. Presentarsi come il partito di Draghi e contemporaneamente sostenere che ci voglia una «alleanza tattica» con i grillini, come ha fatto ieri sulla Stampa Luigi Zanda (esponente autorevole del Pd, vicinissimo a Franceschini), è ai limiti dell’abuso della credulità popolare.

Letta dice che con la caduta del governo c’è stato «un cambio totale di paradigma». Ma la verità, purtroppo, è che non c’è stata nessuna rivoluzione scientifica né filosofica, tantomeno a sinistra, dove di paradigmatico c’è solo l’incredibile capacità di dire con uguale enfasi tutto e il contrario di tutto, ma mai e poi mai le parole: ho sbagliato.

L’AGENDA DRAGHI (fs)

Si tira in ballo l’agenda Draghi, ora che è caduto, per indicare il compendio delle finalità politiche da assumere per un paese che intenda stare con l’Europa, la Nato, gli Usa. L’agenda ha a che fare con alcune scelte liberali e sono quelle che “mercoledì hanno diviso e deciso, facendo cadere l’alibi nominalistico e facendo esplodere come un kamikaze l’ultimo vaffa della vergogna italiana” (b.facchetti).

A partire da taxi e balneari (aggiungendo il catasto)  si può tracciare la mappa del bipopulismo italiano. Una linea di demarcazione, un confine, che vede contrapposti i liberali ai populisti. Per riassumere: applicazione della direttiva Bolkenstein, dal nome del commissario Ue, liberale, anzi presidente all’epoca dei liberali europei. Bestia nera del corporativismo italiano dal 2006, quando la direttiva fu emanata e cominciò in Italia il balletto dei rinvii nell’applicazione.

Il Conte I l’aveva rinviata al 2033, ben 27 anni dopo la sua pubblicazione nella G.U. dell’Unione Europea. Un capolavoro di furbizia levantina, da azzeccagarbugli della palla in tribuna.

Pronunciando quelle due paroline, taxi e balneari, Mario Draghi ha comunque “provocato” i liberali: da quelli disattenti del Pd a quelli sedicenti del centrodestra, a quelli un po’ analfabeti dei 5S, a cui erano molto piaciuti i fumogeni e i blocchi stradali dei tassisti di via del Corso solo pochi giorni prima.