Uno come me che cerca di essere “onestamente intellettuale” ha capito i bipopulisti

Da qualche anno “onestamente intellettuale” (cit. Davide Crippa, deputato 5 Stelle) ho preso atto che i fatti non convincono più nessuno e che le opinioni si formano, nel mondo, sulla base di storielle e impressioni assunte dalla pancia degli individui. Dico questo per spiegare che il mio intento da anni non è quello di con-vincere nessuno. Per esempio, il sociologo Luca Ricolfi ha scritto un libro (La notte delle ninfee, ed. La nave di Teseo)  per dimostrare tutti gli errori fatti dal governo Conte nella gestione della prima crisi pandemica.

«Perché la legge fondamentale dell’epidemia è una sola: se vuoi fare qualcosa, più tardi lo fai più costerà caro a tutto», scrive Ricolfi. Il governo ha ritardato a intervenire «con la prima ondata e ancor più con la seconda», ha tergiversato a lungo prima di decidere «e quando ha deciso ha ancora a lungo atteso prima di varare le misure più efficaci». Non è una cosa da poco: il ritardo ci è costato carissimo. Decine di migliaia di morti non necessarie, prima di tutto.

Credete che analisi (fatti e dati) del genere possano scalfire le certezze non della casalinga di Voghera ma di tanti ammiratori di Conte ammaliati dalla pochette e dal ciuffo? Se gente sgamata come Zingaretti e Provenzano, Franceschini e Bersani e Boccia adorano questo ciarlatano che non riuscirebbe neppure a governare un condominio di due appartamenti, come volete che il popolo italiano possa capire i danni che fa il populismo nelle sue varie versioni?

Se Grillo è (considerato) di sinistra, un liberal come me diventa un pericoloso reazionario. Ieri sera mentre Report spiegava per l’ennesima volta l’origine e la malvagità di un disegno che ha portato il M5S nel 2018 a ottenere 338 parlamentari (di cui il 30% ha lasciato nel corso della legislatura), riflettevo che uno spettatore come me stava perdendo tempo. Il servizio spiegava come Grillo fosse al soldo dell’armatore Onorato, Casaleggio figlio al soldo della Philiph Morris e di come gli attuali parlamentari fossero stati selezionati non dal voto degli iscritti ma da Luigi Di Maio, il capo politico.

Come possa un movimento teleguidato da due burattinai esser riuscito a far breccia nei cuori di tanti onesti cittadini che amano la sinistra, resta la dimostrazione ormai provata dei successi del populismo, fenomeno sociale che si presenta doppio, in una versione di destra e una di sinistra che coincidono nel bipopulismo. Tra la gentaglia che il 6 gennaio 2021 ha assaltato Capitol Hill e quelli che ad ottobre hanno attaccato la Cgil durante una manifestazione contro il Green pass, c’è un legame. Chi non se ne rende conto, visto quello che propone, è il sindacalista Landini. Chi non ha capito cosa sia il populismo e fa l’apprendista stregone, sta giocando col fuoco.

Il punto di partenza del M5S, spiega Antonio Preiti, era l’insoddisfazione delle persone verso la classe dirigente e l’espressione di un rancore generalizzato verso tutto ciò cha rappresentava l’autorità, tanto peggio se autorità pubblica e politica. Su questo punto di partenza è stato costruita un’architettura di grande azzardo così sintetizzabile: no all’autorità (uno vale uno), perché l’autorità non è vera autorità, ma è solo la forma che assume il potere per opprimere le masse; no alla politica come professione (negazione perciò della democrazia rappresentativa); l’onestà personale assunta a unico criterio di selezione politica. La prova del governo, e dei fatti, si è premurata di smentire e travolgere tutte e tre le componenti principali di questa traiettoria. Si è visto che uno non vale uno, perché la qualità di chi decide fa la differenza; che una democrazia digitale, non rappresentativa, è meno limpida della prima e sostanzialmente ingestibile; che l’onestà personale è criterio che non garantisce il buon governo (se non accompagnato dalle capacità e dalla volontà), fragile (se unico) e volatile (se intrecciato con gli infiniti accidenti del governo).

(massimo franco)  Quello che si sta materializzando è lo scenario comunque più temuto: un Movimento allo sbando, in preda alle pulsioni più estremistiche, che minaccia di scaricare paure e conflitti interni su Palazzo Chigi.
La previsione è che in caso di defezione dei Cinque Stelle, il probabile contraccolpo sarebbe un’uscita dal governo anche della Lega. Da mesi il partito di Salvini si sente insidiato dalla destra d’opposizione di Giorgia Meloni, che travasa i voti del Carroccio. E aspetta di capire a che punto avrebbe convenienza a rivendicare le mani libere, pattinando tra appoggio e opposizione a Draghi in modo simmetrico al M5S: al punto che la zavorra finanziaria delle rivendicazioni leghiste preoccupa Palazzo Chigi quanto gli scarti grillini.

Il pendolo populista oscilla da una posizione all’altra senza una strategia comune tra loro, ma oggettivamente le due forze giocano di sponda. Guerra della Russia all’Ucraina, risalita della pandemia, Piano europeo per la ripresa: sono vere priorità che gli aspiranti guastatori considerano motivazioni trascurabili, presi da un miope istinto di sopravvivenza. Draghi si trova a dover fronteggiare una coalizione nella quale a tentare una forzatura destabilizzante non sono formazioni convinte di avviarsi a un trionfo elettorale.

Al contrario, si profila una sorta di congiura dei perdenti, illusi di poter salvare almeno una minoranza di seggi separando i propri destini da quelli del governo. È una gara di irresponsabilità, che forse non calcola nemmeno il contraccolpo che una crisi avrebbe sull’immagine dell’Italia schierata in prima fila contro l’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina. Dietro il fastidio e l’amarezza attribuiti al presidente del Consiglio si avverte la delusione per l’atteggiamento di alcuni alleati; e la strumentalità con la quale frappongono ostacoli all’azione del governo.

Il «tutti contro tutti» che caratterizza da mesi la vita interna dei Cinque Stelle, e che la scissione «governista» del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, non ha interrotto, abbozza adesso il lavacro finale. 

È probabile che il Quirinale concordi con Draghi un supplemento di pazienza e di mediazione per evitare una crisi; o comunque per rendere chiara fino in fondo la responsabilità politica di chi si smarca. In extremis, non si può escludere che la verifica avvenga in Parlamento, chiedendo al premier di andare alle Camere per riottenere la fiducia. Ma la «legislatura populista» sta producendo comunque, nei titoli di coda, i suoi frutti più tossici. E se nemmeno l’innesto di Draghi ha prodotto l’antidoto a questi veleni, è lecito chiedersi che cosa può succedere se e quando si dovesse aprire una stagione diversa.