Colombo, Flores e la gauche grillina che scopre solo ora l’orrore del populismo

Se dovessi dire i due nomi che storicamente hanno fatto di più, tra la fine degli anni Novanta e i primissimi anni del Duemila, per spingere il giornalismo, la cultura e i partiti della sinistra italiana sulle posizioni oggi rappresentate dal Fatto quotidiano e dal Movimento 5 stelle, direi senza dubbio Paolo Flores d’Arcais e Furio Colombo. Il primo, come direttore di Micromega, fece del suo “almanacco di filosofia” la tribuna di tutti i pubblici ministeri di maggior grido e il megafono di tutti i movimenti della «società civile» che contestavano i partiti della sinistra da posizioni proto-grilline, in particolare al tempo dei cosiddetti girotondi. Il secondo, come direttore dell’Unità, con Antonio Padellaro al fianco come condirettore (e successore), fece altrettanto sul giornale fondato da Antonio Gramsci, affrontando per questo non poche polemiche con i dirigenti e anche con qualche militante del partito di riferimento (i Democratici di sinistra), forte dei notevolissimi e innegabili risultati ottenuti in termini di copie vendute. Tra le scelte indimenticabili di quella stagione va ricordata anche quella di assegnare una rubrica fissa, sull’Unità, a Marco Travaglio.

Confesso dunque di aver letto con sentimenti contrastanti l’accorata intervista di Colombo a Flores, su Micromega, in cui racconta la sua decisione di lasciare il Fatto quotidiano, vale a dire il giornale fondato da Padellaro con Travaglio e con lo stesso Colombo, praticamente come una costola della loro Unità, una sorta di scissione politico-giornalistica, perfettamente coerente con le loro passate battaglie.

Prima di proseguire, a beneficio dei lettori più giovani o smemorati, è forse utile ricordare che una delle questioni maggiormente divisive, come si direbbe oggi, tra partito e giornale, era rappresentata allora dalla dura campagna condotta da Colombo per affermare l’importanza di definire il governo Berlusconi del 2001 un vero e proprio «regime», paragonandolo esplicitamente al regime fascista, e accusando tutti quei dirigenti dei Ds e del centrosinistra che non ritenevano né giusto né conveniente prendere una simile posizione di essere sostanzialmente traditori e quinte colonne del nuovo fascismo arrembante, o poco meno (spesso anche qualcosa di più).

Le posizioni di Flores e Micromega erano su questo, e su molte altre cose, largamente coincidenti con quelle dell’Unità di Colombo, come lo erano le firme dei principali collaboratori, a cominciare ovviamente da Travaglio.

Fa dunque un certo effetto vedere oggi i due principali artefici di questo movimento politico e culturale, culminato prima nella fondazione del Fatto (con tutta la galassia editoriale connessa) e poi nel Movimento 5 stelle, ritrovarsi improvvisamente all’opposizione delle loro creature, dopo essere entrambi inorriditi dinanzi alle prese di posizione assunte da tanti loro amici e compagni di strada della gauche grillina sulla guerra di Putin.

Flores infatti si è giocato subito il rapporto con qualcuno dei suoi collaboratori scagliandosi contro le dichiarazioni del presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, e in particolare contro il comunicato dell’associazione sul massacro di Bucha, definendolo giustamente «osceno», in un articolo carico di sacrosanta indignazione contro il «ponziopilatismo» di chi mette sullo stesso piano, sotto l’etichetta del «furore bellicistico», aggressori e aggrediti.

Colombo non ha esitato a polemizzare direttamente col suo giornale, il Fatto, per lo spazio e l’accoglienza dati ad Alessandro Orsini e alle sue singolari tesi strategiche e storiografiche, ma anche per analoghe uscite di altre più antiche firme del giornale, come Massimo Fini, sulla correttezza del comportamento delle Ss in Italia. Posizioni che hanno suscitato qualche protesta anche da parte di un altro recente acquisto del giornale come Gad Lerner.

Personalmente trovo sorprendente la loro sorpresa. Per quale ragione al mondo il giornale che da oltre un decennio tratta Beppe Grillo come un leader politico visionario e anticipatore, appoggiando senza riserve il partito che ha sdoganato in Italia la paccottiglia no vax, la caccia alle scie chimiche e la propaganda russa sull’annessione della Crimea, dovrebbe ora censurare le teorie di un Orsini?

È comunque degno di nota anche il modo in cui il Fatto ha aperto il dibattito al contributo dei lettori, con titoli surreali quali «Colombo sbaglia, ma resti» (lunedì 16 maggio), ma soprattutto con contributi come quello pubblicato ieri in cui l’affezionato Luca Menichetti scrive: «(…) Colombo avrebbe potuto esprimere tutte le sue perplessità senza quei toni ultimativi. Toni che lo fanno assomigliare a un qualsiasi editorialista di Linkiesta o del Foglio. Il mio appello a Furio Colombo: non butti via così la sua reputazione».

Sono d’accordo con il lettore del Fatto. Come ha scritto anche Giuliano Ferrara, proprio sul Foglio, rivolgendosi direttamente a Lerner e Colombo: «Continuate a collaborare tranquilli».

Intendiamoci, ciascuno ha diritto di ricredersi sulle battaglie combattute in passato e sui propri compagni di strada. Quello che però non si può sostenere è che siano tutti gli altri ad avere improvvisamente fatto inversione e a essere finiti contromano. Vale la regola della barzelletta: se la radio dice che c’è un pazzo contromano e la tua risposta è che i pazzi sono molti di più, evidentemente, è il momento di fare una sosta.