Per Giuseppe Mercuri

Giuseppe (Peppe o Pino) Mercuri, scomparso oggi dopo una breve malattia, è stato collaboratore scolastico con me preside al De Fazio e rappresenta una delle persone che ho avuto la fortuna di incontrare durante la vita lavorativa. Un solo termine lo rappresenta bene, “lavoratore”, perchè in pratica, nella realtà concreta che viviamo giorno dopo giorno, vediamo che ci sono persone per le quali il lavoro è una condanna ed altri di cui diventa la ragione di vita. Non importa che tipo di lavoro fai, ci sono quelli che lo fanno bene e altri che fanno finta di lavorare, si lamentano e appaiono sempre stanchi. A scuola come in qualsiasi ufficio o impresa, l’economia di un intero paese la fanno i lavoratori come Pino, instancabili ma con il sorriso sulle labbra, affidabili, disponibili, seri. Ha lavorato tutta una vita e non gli è stata data la possibilità di godersi una vita senza lavoro. Con lui è nato spontaneamente quindi un rapporto di quelli veri, quei rapporti gratuiti che spesso vengono definiti “amichevoli”. Solo che Pino (e altri come lui) io non l’ho mai considerato un amico, se lo avessi fatto lo avrei diminuito, lui è stato un mio fratello, un familiare. Ci siamo voluti bene, sino all’ultimo, ci siamo incontrati e scoperti, abbiamo collaborato dialogato e riso di tutti i cretini che il caso ci metteva davanti. Bastava uno sguardo per capirci, e ci ha unito tutto, la scuola, la bellezza, la juve, i libri, perchè Pino conosceva, molto meglio di me, gli uomini, aveva vissuto molto e non si sbagliava quando valutava le persone. Il diabete ce lo ha portato via troppo presto e in questi momenti tristi un unico pensiero allegro mi viene in mente, lo esprimo senza stare a pensarci troppo. Se fossi ancora preside e se avessi ricevuto questa terribile inaspettata notizia avrei pensato: a Pino non si può intitolare un’aula, non si può mettere una targa ricordo, non si può (Dio non voglia) intestare memorial. Sarebbe troppo poco. Ci vorrebbe una statua di bronzo che negli anni rimanesse a significare la grandezza di un lavoratore, affinchè i ragazzi e le ragazze (persone prima che studenti) imparassero il suo nome e lo tramandassero come esempio di vita e lavoro. Ma la cosa è allegra perchè so già cosa mi direbbe Pino toccandosi i baffetti e con gli occhiali poggiati sulla testa: “Preside, sono onorato ma non merito tanto, anzi non merito nulla, chi mi ricorderà avrà un suo motivo per farlo”. Pino era innanzitutto un contadino e sapeva che soltanto con la cura costante e la pazienza la terra produce, io e lui concordavamo che quello che dai agli altri ti torna sempre, c’è una reciprocità nella vita che si apprende sin da bambini. Poi certi adulti la sporcano perchè la fanno diventare il “do ut des” alla quale la nostra società si è piegata. Addio Pino, indimenticabile contadino dei nostri giardini più belli.