Siamo tutti ucraini, siamo tutti europei (anche se non proprio tutti tutti)

Quella canaglia di Vladimir Putin vuole annettersi l’Ucraina, tutta l’Ucraina, senza eccezione territoriale, senza mediazione alcuna, possibilmente anche senza più ucraini e certamente senza soluzione di continuità con la grande madre Russia, come fece Hitler con l’Austria ancora più che con la regione dei Sudeti in Cecoslovacchia nel 1938.

La reductio ad Hitlerum è sempre un artificio retorico odioso da usare per commentare l’attualità, ma mai come questa volta la storia, le parole d’ordine, la lucida follia omicida del condottiero, e la corrispettiva sottovalutazione del pericolo dopo anni di preparativi in Cecenia e in Georgia fino alla Crimea, sembrano il remake annunciato di un horror già visto.

Putin si prenderà l’Ucraina e non si fermerà all’Ucraina. Il passo successivo sarà l’annessione della Sudetenland del XXI secolo, ovvero dei paesi baltici o della Moldova o di chissà quale altro paese dell’ex impero sovietico e non è detto che il criminale del Cremlino si fermerà prima di arrivare alle porte di Berlino, dove ai tempi dell’impero del male comunista si aggirava nei panni del farabutto del Kgb.

Il progetto di Putin è chiaro, addirittura è stato codificato in un’intervista al Financial Times che fu salutata tra gli applausi dai beoti e tra mille considerazioni pensose dei fessi di Davos e dell’Ambrosetti: Putin vuole cancellare la democrazia liberale perché la democrazia liberale è l’arma di mobilitazione popolare più micidiale a disposizione dei suoi connazionali interessati a combattere la cosca mafiosa di trafficanti e di oligarchi che si è installata al Cremlino.

Nel 2016, Putin pensava di aver vinto la partita, dopo aver contribuito a far uscire la Gran Bretagna dall’Europa e a far eleggere alla Casa Bianca il primo presidente antiamericano degli Stati Uniti, una specie di “season finale” della serie tv The Americans, senza dimenticare l’amicizia imperitura con i governi populisti ai suoi piedi in giro per l’Europa, a cominciare da quello Conte-Salvini-Di Maio, e senza sottovalutare la penetrazione propagandistica e ingegnerizzata di fake news con cui ha approfittato della deboli difese della società aperta e dell’irresponsabilità dei suoi volenterosi complici come coloro che in Italia hanno piazzato un personaggio ridicolo come Marcello Foa a presiedere la Rai, gli amici di Dugin al Tg2, gli squadristi populisti in vetrina serale sulla 7 e le macchiette retequattriste a Mediaset.

La sconfitta infamante di Trump – dopo il fallimento della falsa pista del fantomatico complotto ucraino dietro le manovre russe pro Trump, cui ha creduto buona parte dell’informazione italiana sotto dettatura di Rocco Casalino – ha cambiato la strategia di Putin, costringendolo ad accelerare il suo piano imperiale perché il vento era improvvisamente cambiato. A maggior ragione dopo il flop del tentativo di colpo di stato americano del 6 gennaio 2021 e la conseguente riscossa atlantica e liberale in giro per il mondo, a cominciare dalla riscossa delle istituzioni europee alla pandemia fino all’insediamento di un governo pienamente atlantista in Italia.

Eppure pare non bastare nemmeno l’aggressione criminale contro gli ucraini: c’è ancora chi non ha capito che i baffetti hitleriani delle mille caricature di Putin sono una fotografia perfettamente realista del dittatore che ha infuocato l’Europa. C’e ancora chi non ha capito chi è e che cosa vuole Putin, nonostante lui lo dica chiaramente, perché mille sono ancora i distinguo stravaganti, i «sì, ma» e le altre scemenze giustificazioniste del despota che si sentono in giro.

Basta leggere le puntute reazioni di ex direttori del Tg3 comunista, di sgherri del Fatto, di direttori di riviste ex liberali (povero Nicola Matteucci) e di vari mentecatti di ogni ordine e grado all’articolo di Gianni Riotta sulla Repubblica di Maurizio Molinari di ieri a proposito di uno studio della Columbia University, su cui aveva scritto Linkiesta un anno fa, sulla tendenza putiniana (detta con parola tedesca: «Russlandversteher») di una parte dell’intellighenzia globale anche italiana, non solo dei senza arte né parte della Lega e dei babbei a cinque stelle, che – consapevole o no – ripete e giustifica e amplifica la propaganda maleodorante del Cremlino.

Quelli che invece conoscono le reali intenzioni criminali di Putin, e che avvertono da tempo della pericolosità, sono altri: sono Anna Zafesova, Bernard Henri Levy, Riotta e Molinari, Paolo Garimberti e Gianni Vernetti, Jacopo Iacoboni della Stampa, buona parte della squadra del Foglio e pochissimi altri, casi più unici che rari, isolati e sbeffeggiati in mezzo a legioni di rossobruni di destra e di sinistra, berlusconiani e comunisti, fascisti e antagonisti, anti americani e assangisti.

La cosa più grave è che sull’Ucraina non si intravedono buone soluzioni, se non l’urgenza di aiutare gli assediati a difendersi, di assistere le loro famiglie sfollate e di inasprire fino all’impossibile le sanzioni contro la cosca di Putin, nella speranza che siano proprio gli oligarchi a defenestrare il tiranno a furor di popolo russo.

La resistenza sul campo è in mano al valoroso popolo ucraino, la cui attuale leadership churchilliana sta commuovendo mezzo mondo ma porta con sé la gigantesca responsabilità di non essere riuscita a mobilitare l’opinione pubblica internazionale prima dell’invasione. Ma ciò che importa è che ora, di fronte a un’aggressione criminale contro un popolo democratico, non possiamo non dirci tutti ucraini. E non possiamo non dirci tutti europei. Anche se non proprio tutti tutti.