I guai del valore legale del titolo di studio

(29/9/2017) Se un insegnante entra in classe e legge il giornale lasciando liberi gli studenti di far quel che vogliono, alla fine sulla carta contabilizzeremo un’ora di lezione per il docente, un’ora di frequenza per gli alunni ma nessun apprendimento. “Che cosa apprendono” i nostri studenti? Ecco la domanda che in Italia viene rimossa, spesso osteggiata. Già Paola Mastrocola ha spiegato bene la differenza tra “andare a scuola” e “studiare”, ma occorre aggiungere che possono esserci ore di insegnamento effettivo che non producono alcun apprendimento, rendendo la scuola tempo perso. La scuola inclusiva, che non lascia indietro nessuno, dovrebbe considerare anche gli apprendimenti, altrimenti finiremo col dire che la dispersione è superata se riportiamo a scuola quelli che l’hanno abbandonata. Senza controllare però se insieme con la frequenza ci sono o non ci sono apprendimenti.

Che cosa devono apprendere gli studenti in Italia è sancito, si chiamano “risultati di apprendimento”, ma essendo tanti e generici nessuno vi fa caso, e così essi si “presumono” ci siano in presenza delle promozioni deliberate da ogni docente. Facciamo un esempio tratto dalla vita quotidiana. Il permesso a guidare un’auto in Italia si ottiene attraverso scuole (guide) che offrono un percorso di lezioni. Ma alla fine tutti, scuole, aspiranti guidatori, loro genitori e società sanno bene che la patente viene rilasciata (tranne eccezioni-reato che nel nostro mondo imperfetto ci sono sempre) a chi “sa guidare” e “conosce il codice della strada e altre nozioni importanti”. Che cosa l’aspirante guidatore deve sapere e saper fare è chiaro a tutti. Perciò si fanno i test e la prova pratica. A scuola non è così, basta esser promosso. Così tutti sono alla ricerca di una scuola o università facili che promuovano senza problemi.

Immaginiamo invece uno scenario in cui sia il diploma che la laurea non fossero più titoli legali. Allora un ragazzo frequenterebbe un liceo classico e poi, per iscriversi a Lettere a Roma, dovrebbe superare a Roma una prova scritta. (E’ quello che già succede per accedere alla Normale di Pisa, il curriculum degli studi non vale, devi superare una prova scritta anonima). Se non la supera, il liceo che ha frequentato, rispetto agli altri licei, si scredita. Oppure pensiamo ad un ragazzo che si laurea in giurisprudenza ma poi non riesce a superare nessun concorso. La facoltà sarebbe responsabile, se il ragazzo non era pronto non gli avrebbe dovuto dare la laurea. Ecco cosa dovrebbe avvenire, in un paese serio, le scuole e le facoltà dovrebbero poter assumere gli insegnanti che vogliono e dovrebbero essere in competizione tra loro. Oxford e Cambridge sono due università di grande secolare reputazione e perciò attirano studenti in grado di pagare rette alte e finanziatori che consentono di ammettere gratis allievi meritevoli. Se la scuola primaria (elementari + media) “Torquato Tasso”  vede poi il 30% dei suoi alunni respinti quando tentano di iscriversi ad una scuola secondaria, vedrebbe calare i suoi nuovi iscritti, che sceglierebbero un’altra scuola con maggiore reputazione. Allo stesso modo una facoltà di architettura che poi all’esame di abilitazione per fare l’architetto vede bocciare il 70% dei suoi studenti, correrebbe subito ai ripari cambiando la maggior parte dei professori, responsabili di risultati così scadenti. Ogni facoltà in ingresso selezionerebbe così i suoi studenti e anche i suoi docenti, per poter ottenere risultati positivi che aumenterebbero la sua reputazione. Invece dei pezzi di carta che oggi chiamiamo diploma o laurea, avremmo in cattedra professori preparati, che preparano studenti in grado di sapere e saper fare una professione. Insomma, avremmo una scuola italiana dove ci va chi intende riuscire a superare poi i concorsi nazionali. Quello che succede normalmente, a chi prende lezioni per imparare a sciare, a parlare le lingue, a usare Office, a ballare, nuotare, governare l’ansia. Ti scrivi forse ad un corso di ballo e poi non ci vai, oppure sei distratto, tanto poi ti danno l’attestato? Basterebbe il mercato, l’abolizione del valore legale del titolo di studio, e il merito  (che tutti i nostri sofisti giurano di non sapere cosa sia) si imporrebbe, sconfiggendo corruzione e nepotismo. Con l’avvertenza che se uno mangia pane fa briciole, è inevitabile.