L’impiego pubblico/ la palla al piede della Calabria

Sul Pnrr la Calabria procede come al solito con la rassegnazione del disastro annunciato. In questa terra ballerina si fa tutto come si fa con i terremoti, si aspetta con fatalismo la prossima scossa sperando nella buona stella. Dei progetti finanziabili riguardanti le risorse idriche, dopo una prima bozza presentata a marzo in buona parte copiata da quella di altre regioni, la Calabria ne ha visti accettati 20 e rifiutati 16 (solo la Sicilia ci supera). Una volta arrivati, i fondi bisogna saperli spendere perchè non saranno consentite le nostre ataviche furberie, spese gonfiate e cumuli di ritardi. Altrimenti l’UE congela l’erogazione dei fondi come è già avvenuto a causa di errori di rendicontazione, infine poi a valle occorre il controllo. La Regione stessa è ben consapevole che il sistema di monitoraggio non funziona per un “deficit informativo” non meglio precisato.

LO STATO E’ IL DATORE DI LAVORO DEI CALABRESI Su 1.800.000 residenti effettivi in Calabria le pensioni erogate risultano essere 770.003 (di cui 122.198 pensioni di invalidità civile). Una cifra che corrisponde al 43% della popolazione reale.  Aggiungiamo ai pensionati  i circa 197.000 percettori del reddito di cittadinanza (43,8 nuclei ogni 100 mila abitanti), media doppia rispetto alla media nazionale, e i circa 110.000 dipendenti pubblici. Abbiamo pertanto un milione di abitanti (il 60%) che non fanno parte delle categorie produttive in senso stretto.

Quelli che si sbattono davvero per arrivare a fine mese sono l’11% della popolazione, circa 200.000 tra artigiani, partite iva ed imprenditori. 

La questione meridionale, come ha spiegato puntualmente Saverio Di Giorno su “i Calabresi”,  oggi è prima di tutto una questione burocratica, in Calabria più che altrove.

TANTI STATALI E POCHE INDUSTRIE
Cosenza ha 67.563 abitanti e 28 mila risultano occupati (sono il 42%). Tra gli occupati ben 15mila (il 22% della popolazione) risultano occupati nell’amministrazione che comprende tutti i possibili apparati della pubblica amministrazione, dal Comune alle segreterie ed uffici vari. L’altro 53% degli occupati lavora tra industrie e servizi. Riepilogando, a Cosenza lavorano 4 persone su 10,  e 2 di questi occupati lavorano nell’amministrazione.

Ad Imola (Bo), comune più o meno della stessa grandezza di Cosenza (quasi 70mila abitanti) e con l’occupazione complessiva quasi la stessa (il 46%),  la percentuale di occupati nell’amministrazione è del 17% (a Cosenza del 22%) mentre gli occupati sono per lo più nelle industrie. Oppure si paragonino due città come Reggio Calabria (182mila abitanti) e Reggio Emilia (171mila abitanti). Nell’amministrazione di Reggio Calabria lavora il 33% degli occupati, mentre in quella di Reggio Emilia il 18%.

Il dato può essere replicato anche con comuni più piccoli. In Calabria gli enti classificati come amministrazioni occupano la maggior parte delle persone. Gli enti pubblici (o che rientrano nella categoria di “amministrazione”) al Sud sono di più e sovradimensionati (sono i consorzi, le aziende autonome, le comunità territoriali o i vari istituti) .

AL DATORE DI LAVORO SI DA’ POCO Lo Stato in Calabria è il datore di lavoro che fornisce più occupazione però in cambio riceve ben poco tanta è l’inefficienza. Le città del Nord – a parità di popolazione – hanno meno funzionari, ma funzionano meglio e soprattutto spendono meno. Come è possibile? E’ possibile se gli impiegati vengono dislocati in maniera illogica sul territorio, troppi in alcuni uffici affollati e pochi in altri essenziali, e soprattutto se le competenze degli occupati non sono in grado di poter svolgere nessun lavoro utile.  Se sono oltre 40 i primi “esperti” individuati a fine 2021 dalla Regione Calabria per supportare la macchina amministrativa nei progetti del Pnrr (Gazzetta del sud), ciò significa che all’interno della PA non esistono figure in grado di svolgere alcune mansioni. Non esistono cioè (a fine 2021 in Calabria) 8 Ingegneri Civili, 5 Ingegneri Ambientale, 4 Geologi, 2 Ingegneri Chimici, 3 Ingegneri Energetici, 3 Ingegneri delle telecomunicazioni, elettronica ed elettrotecnica, 7 Ingegneri Gestionali, 3 Architetti, 3 Esperti nella Gestione e monitoraggio di progetti complessi, 4 Esperti giuridici, tant’e vero che il Formez li ha dovuti reclutare all’esterno. La domanda è allora, ma gli ingegneri, gli architetti, i geologi e via dicendo che già da decenni lavorano all’interno delle amministrazioni calabresi, cosa fanno in concreto? Ma come è possibile? Cifre alla mano i nostri enti sono ripieni di personale  e ne servono ancora?  E’ la questione cruciale della Calabria, il lavoro non viene svolto e dunque lo Stato fornisce assistenza, in economia il fenomeno si chiama “disoccupazione mascherata“: esiste quando una parte della forza lavoro è lasciata senza lavoro o lavora in modo ridondante in modo tale che la produttività dei lavoratori è essenzialmente zero. È positivo che si sia cominciato ad assumere, hanno scritto Boeri e Perotti su Repubblica. Ma, come messo in rilievo dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, lo si sta facendo (non solo in Calabria) riducendo la selettività dei concorsi (ad esempio con selezioni basate unicamente su colloqui a distanza senza chiarire peraltro come si sceglieranno i candidati da sottoporre a colloquio), piuttosto che adeguando le remunerazioni o prevedendo percorsi di carriera per attrarre un maggior numero (e una qualità più elevata) di partecipanti.

I dipendenti pubblici calabresi fanno numero più che ottenere risultati, a causa dell’età media avanzata che fa seguire un solo precetto, “ho sempre fatto solo questo e solo questo so fare”. Soltanto il 34% di dipendenti comunali sono laureati, ma abbiamo visto che conta anche il tipo di laurea e le competenze sottese alla laurea stessa. Infine, c’è il motivo del “tran tran”, i dipendenti non appena assunti si autoassegnano delle mansioni e per tutta la vita lavorativa non intendono svolgerne altre comprese nel ruolo e di cui l’ufficio avrebbe bisogno. L’autodeterminazione del dipendente pubblico, assunto per svolgere le mansioni a,b,c,d, ma che in realtà se ne assegna una soltanto (a suo insindacabile giudizio), chiama in causa antiche prassi corporative, una burocrazia senza dirigenti in grado di dirigere con autorevolezza gli uffici e governate da lobby politico-sindacali che utilizzano il personale per scopi non produttivi ma elettorali.

Gli stipendi per il personale del Comune di Cosenza arrivano a 13 milioni, ad Imola sono 8,7. Cosenza spende 7 milioni in infrastrutture stradali, mentre Imola uno solo, un dato sul costo dei lavori che risulta anomalo ed incredibile. Il Comune di Reggio Calabria spende diversi milioni per i contenziosi, per i quali ogni cittadino calabrese sborsa mediamente 10 euro contro i 3 nazionali. Un alto tasso di litigiosità, con un numero di cause civili pendenti da record, ha fatto balzare la provincia di Catanzaro all’ultimo posto (107esima) dell’indagine  “Qualità della vita del Sole 24 Ore”, nella categoria dedicata ai contenziosi. La performance peggiore registrata nella provincia di Catanzaro ha riguardato dunque l’alto numero di cause civili inscritte ogni 100 mila abitanti.

A proposito dell’occasione Pnrr, a Reggio Calabria hanno 53 milioni di euro da spendere. Sono risorse del Recovery e servono a costruire un museo che potrebbe fare epoca come il Guggenheim di Bilbao. E’ il museo del Mediterraneo, un progetto che è stato inserito dal governo tra i 14 interventi strategici perché “grandi attrattori culturali”. Ha la forma di una stella marina. E’ stato disegnato nel 2006 da Zaha Hadid, la “regina delle curve”, l’architetta irachena, la madre del Maxxi di Roma e del New Port Building di Anversa. C’è insomma il denaro, la volontà. Mancano i geometri (Carmelo Caruso, il foglio). Ha detto l’ex sindaco Falcomatà: “Mi serve personale esclusivamente dedicato a un progetto di questa dimensione. Mi mancano ingegneri, architetti, project manager, general contractor”. Reggio Calabria oltre il Pnrr ha una dote di mezzo miliardo di euro. Sono Fondi del Decreto Reggio, Coesione, Pon, Patti per il Sud… Perché bisogna aiutare questa città? “Perché può diventare la fotografia di ciò che il Pnrr può essere ma anche di ciò che potremo non essere”. Per costruire il museo Hadid è necessario stendere dei bandi internazionali. E’ un’opera enorme. Da seguire giorno per giorno. Significa gare e bandi aperti con standard europei, niente procedure negoziate o affidamenti diretti. Anche il progetto che risale al 2006 andrà ovviamente aggiornato. Ancora Falcomatà: “Servirà un computo metrico aggiuntivo. E’ chiaramente necessario rivederlo tenendo conto dei prezzi dei materiali che nel tempo sono mutati”. Chi dovrebbe fare tutto questo? Il comune di Reggio Calabria ha 800 dipendenti su una pianta organica che ne prevede 1600 . E’ vero che i sindaci hanno la possibilità di assumere figure specifiche ma non basta. Dice ancora l’ex sindaco: “Perché i migliori ingegneri dovrebbero accettare incarichi da 1400 euro e a tempo determinato? Anche qui c’è chi ha detto no. Stiamo registrando rifiuti”. Falcomatà propone qualcosa; “Ritagliare dal budget di ogni progetto finanziato dal Pnrr un cinque per cento da destinare al personale”. E’ ragionevole avere mezzo miliardo di euro e avere poi paura di chiamare e pagare, e tanto, i più bravi? Gli uffici tecnici dei comuni, e in particolar modo quelli meridionali aggiunge sempre Falcomatà, “sono macchine logore e logorate. Credetemi, realizzare questo museo sarà alla fine più facile che gestirlo”. Una volta costruito servirà riempirlo: una collezione permanente, un acquario, sale conferenze, ristoranti. Sono tutte attività di cui i musei moderni hanno bisogno per sostenersi economicamente. Lo faranno gli 800 dipendenti di Reggio Calabria, ne sarebbero capaci? “Ecco perché si dovrà aprire ai privati. Ripeto, gestirlo sarà ancora più difficile che edificarlo”.  Perché Reggio Calabria? Perché è da questo museo che si misurerà davvero lo spread Pnrr, il differenziale tra bla bla bla e ingegneria.

CONSIGLIO REGIONALE CALABRIA (Riccardo Tripepi) Al momento il personale interno del Consiglio, nel quale troveranno spazio i 30 consiglieri appena eletti, è composto da 351 unità a tempo indeterminato, con un’invidiabile media di 11,7 dipendenti per consigliere regionale. Impietoso il confronto con gli altri Consigli regionali italiani. A partire, ad esempio, da quello della Lombardia che risulta composto da 80 consiglieri e conta 268 unità a tempo indeterminato, con la media di 3,35 dipendente per consigliere regionale. In Lombardia ci sono 40,18 dipendenti dell’intero comparto pubblico nazionale ogni mille abitanti. È il dato nettamente migliore a livello nazionale. Nell’ ARS SICILIA attualmente sono in servizio 218 unità.

Una vecchia analisi del prof. Roberto Perotti (lavoce.info, 2013) mostrava una tabella. In Calabria la Spesa totale era: 78.933 (Lombardia: 68.452; Piemonte: 61680; Sicilia: 156.107). Così suddivisa: Consiglieri: 14.335; Consiglieri cessati dal servizio: 10.238; Personale: 33.996;  Contributi ai gruppi consiliari : 5.858; Altre spese: 14506.

Le regioni più costose erano le due che forse più frequentemente si sono ritrovate al centro della cronaca: la Sicilia, con un costo totale di 156 milioni, e il Lazio, con 84 milioni.
Ovviamente però la spesa  dipende anche dalle dimensioni del consiglio. In media in tutta Italia gli emolumenti lordi a ciascuno dei 1117 consiglieri regionali ammontano a poco più di 200.000 euro all’anno. Si passa dai 118.000 euro in Emilia Romagna e 140.000 in Valle d’Aosta ai 244.000 euro del Piemonte, 270.000 del Lazio, e 281.000 della Calabria.

IN SICILIA IL CONSIGLIO  COSTA 1.700.000 EURO PER OGNI CONSIGLIERE
La spesa totale (quindi comprensiva degli emolumenti ma anche di tutte le altre voci) per consigliere  è un indice della spesa che le regioni ritengono necessaria  per mettere ciascun consigliere in grado di svolgere il proprio lavoro. La media italiana è di 875.000 euro per consigliere (dati Perotti/2013). Ma anche qui c’è molta dispersione:  si passa dai 410.000 euro della Valle d’ Aosta e i 415.000 euro del Trentino a 1.000.000 di euro   per consigliere in Piemonte, 1.500.000 in Calabria, e  1.700.000 in Sicilia.
Se vi sono dei costi fissi, ci si aspetterebbe che nei consigli più piccoli il costo  totale medio per consigliere fosse più alto. I dati invece indicano l’esatto opposto: più grande il consiglio,  più alto il costo totale medio per consigliere. Sembra che vi siano quindi notevoli diseconomie di scala: se siano dovute a sprechi o ad altri fattori è difficile dire. E’ però interessante notare che una regione medio-grande come l’Emilia, usualmente considerata bene amministrata, in totale spende per ciascun suo consigliere 650.000 euro, molto meno della media nazionale.  Con lo stesso numero di consiglieri (e una popolazione inferiore) la Calabria spende quasi due volte e mezzo l’Emilia Romagna.

BILANCIO DI PREVISIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE CALABRIA  TRIENNIO 22-24 Riporta spese per circa 60 milioni, in grandissima parte assorbite dai costi di funzionamento della macchina amministrativa e burocratica ma anche dai costi della attività prettamente politica di gruppi e consiglieri (corriere della Calabria). Una notevole incidenza sulla spesa della Regione Calabria è rappresentato dal costo del personale di società partecipate ed enti strumentali (spesa indiretta). Lo rileva il Procuratore regionale della Corte dei Conti Maria Rachele Anita Aronica . “Se per la Regione, nel 2019, sono state registrate complessivamente 3208 unità con una spesa totale di oltre 118 milioni di euro, il mondo delle partecipate e degli Enti strumentali ha determinato un costo indiretto per il personale di gran lunga superiore” – prosegue la relazione. L’incidenza indiretta dei costi del personale sul bilancio della Regione è stata, per il 2019, di oltre 230 milioni di euro, nel quadriennio (2016/2019) di oltre 900 milioni di euro. Fra queste Aziende quella con maggior numero di personale è Calabria verde, con ben          4.769 unità nel 2019 e un costo complessivo di oltre 160 milioni di euro.

Nella gestione di “Calabria Lavoro”, ente strumentale della Regione Calabria, cioè il classico “carrozzone” elefantiaco (e improduttivo), il procuratore regionale annota alcune stranezze schizofreniche: riduce il numero delle consulenze ma ne aumenta il costo complessivo, e poi aumenta smisuratamente il numero dei dipendenti con la conseguente spesa complessiva del personale schizzata all’insù di dieci volte tanto, da poco più di 500mila euro a oltre 5,6 milioni in tre anni.