Renzi/ lo stile rancoroso della politica italiana secondo Rocca e Ferrara

Matteo Renzi ha fermato il ducetto del Papeete che ci voleva far uscire dall’euro e ha rimosso i gestori del disastro economico, sociale e sanitario italiano, Giuseppe Conte e Mimmo Arcuri, e con loro anche il portavoce mitomane Rocco Casalino, spalancando così la strada alla nomina di Mario Draghi a Palazzo Chigi.

Renzi sarà anche antipatico, insopportabile e spaccone, e farà anche conferenze nei peggiori bar di Caracas e di Riad, ma un signore che in poco più di un anno ha sventato la presa del potere assoluto di Salvini e Meloni, ha allontanato Conte e Casalino dalle stanze dei bottoni e ha creato le condizioni per l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi e il salvataggio del paese meriterebbe un monumento equestre, la dedica di una piazza, la nomina a senatore a vita.

Ma siamo la patria del populismo, siamo mossi dall’invidia sociale, siamo succubi di questo eterno stile rancoroso delle politica italiana. Per cui niente statue a cavallo, niente piazze, niente vitalizi ma al contrario ordini di custodia cautelare per i genitori, indagini su family & friends, perquisizioni ai sostenitori e ogni genere di contumelie, diffamazioni e ingiurie possibili e immaginabili. E, ancora, pedinamenti autostradali, ossessioni mediatiche quotidiane, prove taroccate, surreali complotti internazionali di cui sarebbe stato protagonista per abbattere anche Trump (altra statua, fosse vero), invocazioni togate per formare un cordone sanitario da stringergli intorno in modo da limitare la sua agibilità democratica, fake news orchestrate anche in ambienti stranieri, tempeste di merda ingegnerizzate digitalmente per avere il massimo effetto abrasivo, invasione della privacy e ora anche la pubblicazione del suo conto corrente senza che ci fosse alcuna motivazione processuale o giornalistica per renderlo noto.

Il conto corrente di Renzi sbattuto sul giornale dei secondini (e poi anche dagli altri, come il malridotto Corriere che ha scambiato la figlia di Bob Kennedy per John Kerry e un’agenzia di conferenzieri, «speakers», per un’azienda di altoparlanti) non è stato il punto più basso di questa vicenda miserabile perché niente può essere più spregevole dell’arresto dei genitori di Renzi colpevoli, appunto, di aver generato Matteo.

Ma il punto è: che cosa viene contestato a Renzi in questa grande opera di mascariamento personale, politico e sociale? Gli viene contestato di aver avviato una legittima, ma eticamente problematica, attività privata quando ha lasciato il governo, come ce l’hanno tutti gli eletti alla Camera e al Senato che non siano politici di professione, e di aver ricevuto finanziamenti trasparenti e regolarmente iscritti a bilancio per finanziare le attività pubbliche della Fondazione Open che da anni organizza la Leopolda e altre iniziative.

Le inchieste accerteranno se sono stati commessi reati o irregolarità, o anche solo dei pasticci, ma la premessa dell’accusa – ovvero che Open non era una fondazione ma un’articolazione di partito per cui valgono le regole del finanziamento ai partiti e non quelle delle fondazioni – lascia intendere che la questione è pretestuosa e soprattutto politica ancor più che giudiziaria.

L’obiettivo degli ex compagni di partito di Renzi, corsi in procura a legittimare le tesi dei magistrati e quotidianamente manganellatori compulsivi su tutti i media, è quello di fargli pagare l’irrispettosa baldanza con cui per qualche anno gli ha sottratto la gestione della ditta (anni in cui, peraltro, Renzi ha eletto Sergio Mattarella al Quirinale e recuperato alla politica Paolo Gentiloni, ovvero le due più autorevoli e rispettate figure istituzionali italiane assieme a Draghi, mentre quelli che poi hanno strappato il Pd dalle mani dell’usurpatore di Rignano si sono prevalentemente impegnati a sostenere la carriera del «leader fortissimo» Giuseppe Conte).

L’obiettivo finale degli ex compagni di Renzi è annientarlo personalmente, non solo politicamente, approfittando anche della sua spavalda e irritante disinvoltura, per evitare che l’ex premier possa continuare a prenderli per il naso come sta facendo da tre anni in Parlamento nonostante quel risicato due per cento di consensi che gli assegnano i sondaggi e lo status di uomo più antipatico d’Italia.

Il cordone sanitario contro Renzi invocato da una fetta di un potere dello Stato, applaudito dai giornali populisti e complici, alimentato dai saltimbanchi dei talk show, accettato da un sistema politico che trent’anni dopo la via giudiziaria al populismo non ha ancora imparato la lezione, certamente andrà oltre il conto corrente pubblicato sul Fatto, e continuerà a martellare sull’ex Presidente del Consiglio.

Tra i leader di partito, ieri soltanto Carlo Calenda ha denunciato l’aggressione mediatica nei confronti di Renzi, pur mantenendo la sua ferma convinzione che un leader politico dovrebbe fare soltanto il leader politico, cosa che rende quindi la sua solidarietà più seria e più nobile.

Se si vuole mantenere un minimo di civiltà politica, bisogna ripartire esattamente da qui: dall’aggregazione di tutte le forze che si oppongono al bipopulismo culturale, giudiziario e mediatico italiano, e che si riconoscono nell’agenda Draghi per il risveglio del paese. Dopo aver scampato il pericolo, soltanto dopo, ci sarà tempo per dividersi sul resto.

IL BRUTTO SPETTACOLO DELLA FONDAZIONE OPEN (Giuliano Ferrara) Non conosco le carte dell’inchiesta sulla Fondazione Open, a parte le indiscrezioni giornalistiche, e non le voglio conoscere, non ne ho il bisogno, non ne ho il dovere. So quello che tutti sanno. La Fondazione era uno strumento collaterale del movimento renziano, cioè una libera associazione di persone che condividevano, giuste o sbagliate, le idee e i programmi di riforma della sinistra e del suo maggiore partito, il Pd, elaborate e sostenute sotto la leadership di Matteo Renzi, un politico giovane venuto dal mondo cattolico fiorentino e dalla Margherita (una delle due correnti che diedero vita all’amalgama mal riuscito del Partito democratico). Renzi aveva guidato la Provincia di Firenze, poi aveva strappato Palazzo Vecchio alle nomenclature d’apparato, poi si era candidato alla guida del partito, e aveva perso lealmente, infine aveva vinto sulle macerie del corso politico di Bersani, aveva sloggiato Letta Jr. dall’esecutivo e ha governato per tre anni facendo qualche pasticcio e un sacco di cose interessanti, con la forza realistica del solito connubio fatale detto patto del Nazareno, fino a infrangersi contro un fronte variopinto, detto l’Accozzaglia, di nemici a vario e diverso titolo della sua idea di innovazione.

A loro il 60 per cento dei soliti no referendari a una riforma costituzionale, a lui il 40 per cento dei sì. Un legittimo percorso politico, con le sue messe in scena alla Leopolda, con le sue alleanze sociali, con la sua grinta politicista (liste, comunicazione, classe dirigente degli affini detta cerchio magico), con i suoi errori e le sue sbavature, con i suoi eccessi, non dovrebbe essere sottoposto a processo mediatico-giudiziario per aver cercato sostegno e quattrini attraverso lo strumento, anch’esso legittimo, di una organizzazione collaterale come la Open, quali che siano i dettagli da azzeccagarbugli.

Si capisce l’inimicizia tra avversari di una casa che fu comune, sale del mestiere cui non dovrebbe mescolarsi il rancore personale, ma i Bersani e gli altri che sono andati dai magistrati fiorentini a spiegar loro con il cappello in mano che Renzi voleva tagliare le radici della sinistra buona e cara e cercava appoggi interni e esterni al partito per costruire una sinistra cinica e cattiva dovrebbero riflettere sull’assurdo della loro resa agli impiccioni del codice penale che vogliono trasformare in un’ombra corruttiva l’esercizio della responsabilità e della libertà politica in una carriera di partito e nella costruzione di un movimento. I Bersani, come i D’Alema e tanti altri, sostengono da tempo che senza i partiti una democrazia è mutilata, e oltre tutto non funziona, vivono un’epoca di spossessamento (per certi versi ben meritato) del parlamento e delle classi dirigenti elette, e di fronte a questo panorama di rovine fanno la festa e la forca a un percorso politico e ai suoi strumenti di lavoro, in un trionfo di ipocrisia stridente visto che sanno benissimo che senza quattrini nn si fa politica, non si amministra il potere, non si vincono le elezioni.

Avrebbero dovuto tirare fuori il carattere e, convocati per testimoniare, avrebbero dovuto dire ai magistrati fiorentini che Renzi e la Open hanno fatto il loro mestiere, hanno svolto il loro ruolo, in opposizione a idee e programmi e magari a valori che sono i loro, in una Repubblica dei partiti che i partiti li ha sbaragliati e dissolti nell’orgia demagogica e populista degli ultimi trent’anni, con le vette che si conoscono dei tempi più recenti. Invece del carattere leale alle idee si è visto il livore consacrato alla distruzione della persona, un brutto spettacolo.