Le questioni urgenti dei sindaci e la macchina comunale

L’ambizione di tenere insieme sovranità popolare, rappresentanza politica e qualità decisionale è il tratto più distintivo e storicamente «rivoluzionario» del regime democratico. Ma è anche un’inevitabile fonte di tensioni: fra cittadini e rappresentanti eletti, fra aspettative dei primi e realizzazioni dei secondi, scrive Maurizio Ferrera sul Corriere.

“La pandemia è stata come un incendio improvviso. Il «popolo» era ben consapevole della gravità della sfida e della necessità di agire in modo tempestivo. Il mutamento climatico al contrario non suscita la stessa sensazione di urgenza. Procede quasi impercettibilmente, giorno dopo giorno; a livello individuale quasi non ci accorgiamo né delle sue cause né dei suoi effetti. Lo stesso vale per altre emergenze, come il calo della natalità e l’invecchiamento demografico” (Ferrera). La politica democratica ha difficoltà a gestire il «fuoco lento», se ne accorge troppo tardi, nel momento in cui inizia a provocare danni visibili e tangibili.

Anche nelle città succede la stessa cosa e la politica locale risponde alle stesse dinamiche. Ci sono questioni urgenti e altre non avvertite come urgenti, per esempio l’incuria e il degrado (segnalati spesso sul web) che rendono col passare degli anni le nostre città immense periferie abbandonate. C’è una analogia tra la pandemia-incendio improvviso e il rogo nel campo rom del 14 luglio scorso che provocò nei lametini uno sdegno all’insegna dell’”Ora Basta!”. Due giorni dopo, il 16 luglio 2021, il governatore ff  Nino Spirlì dichiarò di avere convocato per la settimana successiva un nutrito e competente tavolo di lavoro per risolvere, una volta per tutte, i problemi che ruotano attorno al campo di Scordovillo».

“Una volta per tutte”, si badi. Dopo 4 mesi da quella data possiamo ben dire che la comunità lametina ha rimosso quell’incendio e tutto il suo fumo. Perché? Lo ha spiegato bene il pubblico ministero dell’inchiesta “Quarta chiave” (giugno 2021):

Scordovillo è una situazione di «emergenza umanitaria e ambientale da affrontare unicamente con lo sgombero immediato e la bonifica dell’area interessata dal campo rom, non essendo ipotizzabili strumenti alternativi in considerazione della resistenza della popolazione rom ad integrarsi mediante l’occupazione in attività lecite ed in considerazione del fatto che il suo allontanamento dalla società civile è destinato a crescere in misura proporzionale alla crescita prevedibile della popolazione del campo e del correlato aumento dell’elusione massiccia dell’obbligo scolastico. La scuola, che potrebbe rappresentare la via maestra per l’integrazione, non fa il suo ingresso nel mondo rom ed il campo rom, di converso, diventa ancor più la palestra per l’addestramento al crimine delle nuove generazioni. I finanziamenti periodici per le bonifiche e/o le ristrutturazioni del campo si sono rivelati inefficaci quanto alla soluzione definitiva della questione rom, intesa nel suo significato complesso di fenomeno criminale ed umanitario, e di mero tamponamento di fortuna quanto all’emergenza generata di volta in volta, nel frattempo, dalla mancanza di una sistematica osservazione e prevenzione dell’involuzione delle dinamiche criminali interne alla popolazione rom».

La richiesta di sgombero del pm contiene in sé l’analisi di una situazione allo stremo nella quale una mai integrata popolazione rom vive senza rete fognaria e con allacci illegali alla rete elettrica, visto che gli allacci legali sono stati interrotti. Il campo rom è un ambiente insalubre, a rischio incendi e con la scolarizzazione dei bambini ridotta all’osso, sempre più emarginato e mal tollerato dal resto della popolazione. Il campo rom di Scordovillo è una sorta di campo profughi in pieno centro città.

L’opinione pubblica lametina dunque di tanto in tanto viene svegliata da incendi improvvisi ma poi ritorna a dormire, in quanto la politica democratica ha difficoltà a gestire il «fuoco lento». Il nostro campo profughi è un tipico problema a «fuoco lento» che nasce in anni lontani quando venne regalata la residenza a un gruppo di rom per comprare i loro voti alle comunali ed è diventato un’emergenza sociale e umanitaria che la politica non è più in grado di risolvere.

La macchina amministrativa comunale come ogni organizzazione è un costrutto artificiale, una modalità del comportamento umano correlata alla necessità dell’agire di fronte alla complessità della realtà da gestireQuando le persone pensano e apprendono all’interno di un’organizzazione qualsiasi, anche l’organizzazione stessa apprende; infatti, parte delle idee e degli apprendimenti potrebbe acquistare autonomia rispetto agli autori stessi, essere condivisa ed incidere sulla cultura lavorativa in modo da diventare memoria organizzativa. Avviene però che la conoscenza del singolo è per sua natura “tacita”, ovvero personale, legata al proprio  contesto sociale e culturale; tale conoscenza per essere maggiormente utile all’organizzazione e poter diventare patrimonio comune deve diventare “esplicita” attraverso il confronto e la sua codifica formale.

Se non si passa dalla conoscenza tacita del singolo a quella esplicita e condivisa non potrà esserci un vero sviluppo dell’organizzazione ed è questo, in estrema sintesi, il problema maggiore dei comuni italiani centro meridionali; essi non riescono ad  agire sulle  conoscenze e competenze possedute dai singoli, a coordinarle efficacemente, predisponendone l’implementazione, favorendo così lo sviluppo di buone pratiche. Questa incapacità condiziona lo sviluppo dell’apprendimento organizzativo dell’organizzazione stessa.

Se si guarda alla macchina comunale lametina è chiaro che ci sono o ci sono stati impiegati con buone conoscenze e competenze possedute  ma  rimaste sempre personali e quindi l’organizzazione non apprende, anzi è rimasta congelata agli anni novanta se non prima. Da almeno 30 o più anni possiamo ben dire che l’amministrazione locale lametina si caratterizza per i seguenti dati ormai acclarati:

  1. L’amministrazione politica coincide con il sindaco eletto, l’opinione pubblica neppure sa chi siano e cosa facciano la giunta e gli assessori. Esse sono figure destinate al disbrigo di piccole pratiche per clientes;
  2. I bilanci comunali sono come gli acquedotti, sono pentole con tanti buchi al fondo in quanto le poche risorse che vengono immesse dall’alto  (tasse comunali) vengono ben presto dilapidate con continue perdite. I bilanci e le questioni economiche sono gestite da pochissime persone, spesso non all’altezza del compito impegnativo e dunque incapaci di misurarsi pur con tutta la buona volontà con una contabilità adatta ad una impresa di grandi dimensioni (la contabilità di un comune piccolo è ben diversa da quella dei comuni medi e quella di questi ultimi è ben diversa da quella dei grandi comuni. Le metropoli poi sono un discorso a parte). I dissesti dei comuni ormai sono fuori controllo ma non si capisce per quale incentivo un sindaco dovrebbe tenere i conti a posto.
  3. I consigli comunali eletti dopo campagne elettorali accese e contenziosi che si trascinano per anni (si veda a Lamezia la querelle Ruberto-Pegna) sono formati da persone che l’opinione pubblica neppure sa chi siano. Ciascun consigliere vuole esser eletto per procurarsi un rapporto diretto con il sindaco, per poterlo condizionare e ricevere da lui in cambio i benefici che sono stati la causa della candidatura.
  4. Il sindaco e il piccolo gruppo della macchina comunale che egli controlla si occupano non delle questioni urgenti e improcrastinabili ma solo di quelle che la propria agenda giornaliera qualifica come urgenti e improcrastinabili. Non esistono i problemi della città, esistono i problemi del sindaco (i 10 anni del sindaco Occhiuto a Cosenza sono una dimostrazione evidente) nel senso che spesso la città è chiamata a risolvere i problemi personali del sindaco.
  5. La macchina comunale è formata da pochissimi dirigenti e da impiegati in autogestione continua che rispondono alle medesime logiche dei consiglieri comunali. Il lavoro del singolo è fatto in opposizione o a vantaggio del sindaco, del singolo consigliere comunale, del dirigente pro-tempore, dei familiari e del santo protettore politico (colui il quale gli ha fatto ottenere il posto).
  6. La differenza tra città sino a 100mila abitanti e città più grandi la fa la qualità della macchina comunale, non il sindaco. La differenza decisiva tra il sindaco di Lamezia Mascaro e il sindaco di Milano Sala è data, prima che dalle skills personali, dalla macchina comunale di cui si avvalgono. I grandi condottieri senza soldati addestrati non vanno da nessuna parte. Il problema a monte è come è avvenuta la selezione dei soldati. Si pensi per esempio al “sindaco della notte” di Milano, una persona designata dalla giunta con tanto di staff e di ruoli trasversali ai vari assessorati, che tenga il punto con i comandi della polizia locale di quartiere, con le squadre di pulizia di Amsa e soprattutto con i cittadini. In grado digestire tutte le dinamiche che ruotano intorno alla vita notturna, dalla mobilità alla pulizia, passando per il decoro urbano e il commercio. Questo esempio dimostra come le problematiche delle metropoli siano ben altre rispetto a quelle delle città sino a 100mila residenti. Tenere pulita Lamezia o provvedere al decoro delle sue strade è questione semplicissima rispetto allo stesso problema affrontato a Roma. Ma quel che dovrebbe far riflettere è l’incapacità di risolvere il problema a Roma così come a Lamezia.

Norberto Bobbio diceva che le democrazie sono «case di vetro»: i politici lavorano su un palcoscenico, ogni spettatore può dire, chiedere, contestare ciò che vuole. I comuni tutto sono tranne che case di vetro. Anche se spesso ci sono gruppi che giurano di sapere esattamente in che cosa consista, precisamente, il bene della gente, la politica affronta gli incendi improvvisi ma spesso soltanto dopo averli accesi. I politici sono incendiari e vigili del fuoco allo stesso tempo, tentano di risolvere problemi che loro stessi hanno creati. Per sistemare l’impianto elettrico di casa devi scovare un bravo elettricista; se ci mette le mani un volenteroso avvocato magari provoca solo danni.