Che cosa c’entrano i 5Stelle con la sinistra italiana? Un riassunto

Mi convinco sempre di più di vivere in un paese di smemorati, dove si ragiona sulla base di sensazioni umori e simpatie, i fatti evaporano. A me dicono: tu ce l’hai con i 5Stelle. E io rispondo: certo, essendo io un liberaldemocratico. Vorrei allora rinfrescare la memoria degli smemorati attraverso il riassunto delle puntate precedenti.

Nati ufficialmente a Milano nel 2009 dal matrimonio tra Beppe Grillo, comico, e Gianroberto Casaleggio, imprenditore del web e di nuove tecnologie – i 5Stelle  hanno scalato le vette del successo elettorale raggiungendo il 32%  nelle elezioni politiche del 2018 (227 deputati e 112 senatori, in maggioranza casuali: senza né arte né parte).

Erano partiti a suon di V-day (“vaffanculo”), rifiuto di istituzioni e politica, si sono ritrovati a governare in un primo tempo dell’odierna legislatura con la Lega, poi con Pd e centrosinistra, poi ancora nella coalizione di unità nazionale guidata da Mario Draghi. Tutto questo sempre in nome dell’originaria vocazione “né di destra, né di sinistra”, ora in parte trasformatasi in “senso di responsabilità” e “governabilità”.

Ognuno di questi passaggi politici – com’era prevedibile – ha comportato abbandoni e defezioni sia nei gruppi parlamentari, sia nel corpo del Movimento. I sondaggi attribuiscono attualmente ai grillini più o meno la metà della percentuale ottenuta nelle elezioni del 2018. “Reddito di cittadinanza”, “taglio dei parlamentari”, ritocco dei vitalizi (peraltro in corso di reintegro a causa dei ricorsi) e qualche altro piccolo provvedimento restano i risultati di chi aveva dichiarato di voler aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, e si è trovato invece, improvvisamente (e impreparato), al governo.

Si è trattato di un esperimento unico nel Continente.  E’ andato al potere un partito che non apparteneva a nessuna famiglia politica europea; che teorizzava di non doversi alleare mai con nessuno, e poi di potersi alleare con chiunque, con la destra o la sinistra indifferentemente. Un partito eterodiretto, visto che chi lo comandava era fuori dal Parlamento; e virtuale, visto che chi lo controllava era un algoritmo, diciamo. Un partito fuori da ogni grazia di Dio dal momento che nella notte del 28 settembre del 2018 nessuno sembra di ricordare più che dal balcone di Palazzo Chigi, davanti a una folla festante composta di soli parlamentari Cinquestelle, Di Maio annunciò solennemente l’«Abolizione della Povertà» grazie a uno sforamento unilaterale del 2,4% di deficit.

70 giorni dopo, il governo gialloverde raggiunse un accordo con Bruxelles per riportare il deficit dove voleva l’Europa, il 2,4% diventò un pudico 2,04%, e forse cominciò allora la virata europeista dei grillini, la cosa migliore che abbiano fatto in questi tre anni. La svolta culminò nell’estate del Papeete: abbandonati dal «sovranista», i «populisti» trovarono conforto nell’alleanza con l’ex odiato Pd, detto anche «il partito di Bibbiano». Fu Renzi, incredibile a dirsi, a celebrare il matrimonio.

Alle prese con il governo della Repubblica e con le sue istituzioni, a spese nostre Di Maio e Fico, Castelli Toninelli e Spadafora hanno fatto uno stage per diventare amministratori. Non ce l’hanno fatta. Il loro governo è naufragato, manco a farlo apposta, per difendere il più governativo di tutti, quel Conte che, con un elegante giro di valzer, era passato dal Capitano a Zingaretti senza battere ciglio. E che in cuor suo (e di Casalino, state certi) aspirerebbe ad essere il prossimo Capo dello Stato

Il governo giallorosso (Conte2) è morto non appena si è sfilato Renzi, ma la sorte è stata crudele perchè dopo un mandato esplorativo il certificato di morte porta la firma di un medico legale di nome Roberto Fico.

Alla ricerca di un Ciampolillo purchessia, la linea «Conte o morte» è ben presto diventata «Bonafede o morte», poi «Azzolina o morte», e perfino «Arcuri o morte», mentre Zingaretti, impiccatosi al grido “O Conte o elezioni”, dopo aver insignito lo schiavo di Casalino dell’onorificenza più alta, quella di “Punto fortissimo dei progressisti italiani” (in altri termini alle elezioni ti presentiamo leader della coalizione) è  stato costretto a dimettersi da segretario. L’8 settembre del Movimento ha segnato la fine non del populismo ma di un populismo di governo.

Per alcuni di loro, che sono riusciti a governare sia con Salvini che con Renzi, non è stato  neppure così difficile governare con Draghi. A Di Maio, quando l’aveva incontrato, l’ex Presidente della Bce aveva fatto pure «una buona impressione».

Il Movimento, che ha costruito il suo nucleo ideologico sull’antagonismo verso tutte le istituzioni (nel nome del “popolo” come tutti i populismi) e sulla critica feroce verso tutte le élite (economiche, finanziarie, massmediatiche, ma soprattutto politiche), con l’entrata al governo si è trovato esso stesso élite politica. Quello che si presentava come un “non-partito”, col suo “non-statuto”, con una sua dichiarata diversità ontologica, si ri-trova a essere un partito, in ultima analisi, come gli altri.

Il rifiuto a stringere alleanze è da tempo caduto (e certificato anche dal  pronunciamento sulla piattaforma Rousseau). Il rifiuto del professionismo politico (il famoso “uno vale uno”) è in via di dissolvimento col superamento del divieto a non andare oltre i due mandati di rappresentanza politica.

Questa contraddizione è arrivata oggi ai vertici del Movimento, ma era già da tempo presente nel “popolo” elettorale. Il 25% conquistato alle elezioni del 2013 era figlio della campagna anti-sistema di Beppe Grillo e il 33% delle elezioni del 2018 era figlio di cinque anni di opposizione. Il progressivo declino elettorale segnato da tutte le consultazioni successive a quelle del 2018 non può che essere interpretato come l’abbandono di coloro che lo avevano votato proprio per la sua diversità e la promessa di cambiamento.

Di fronte a questa contraddizione il Movimento si trova oggi costretto a una scelta esistenziale: proseguire sul cammino intrapreso dell’istituzionalizzazione (diventare “partito”) oppure riprendere in qualche modo la carica eversiva originale (restare “movimento” come vuole Di Battista).

A «Li mandiamo a casa tutti. Non abbiamo bisogno di essere rappresentati da questi cialtroni dilettanti. Dilettanti allo sbaraglio. Non riescono neanche a capire cos’è un inceneritore, cos’è una raccolta differenziata o cos’è una pista ciclabile. Non sanno assolutamente nulla. Si affidano a esperti, esperti messi lì, pagando parcelle a gente incredibile».

B «Io mi affiderò e noi ci affideremo sempre alla comunità scientifica».

A e B sono dichiarazioni contraddittorie, opposte, lontane. Pronunciate, sicuramente, da due soggetti sicuramente di due forze politiche distinte e contrapposte. Nella prima si cerca di prendere le distanze dagli ‘esperti’. Nella seconda, invece, la professionalità è fondamentale. È linfa vitale, essenziale per la sopravvivenza della società.

Verrebbe da pensare che il personaggio della prima dichiarazione sia un esponente della destra. Quella populista. Quella che abbiamo conosciuto come dispensatrice di informazioni false, inattendibili e che attacca il Movimento 5 Stelle definendolo “non idoneo perché inesperto”. Il secondo invece sembrerebbe uno affezionato ai tecnici di settore. A quelle élite, lontane e diverse da noi. E quindi probabilmente uno di sinistra, devoto al suo palazzo e alla sua poltrona e impensierito più per il prossimo talk televisivo che per il suo popolo.

Nessuno penserebbe che la prima dichiarazione sia di Beppe Grillo (intervista del 2011 alla trasmissione di Rai2 ‘Anno Zero’) quando proprio in quel 2011 in carica c’era il governo dei tecnici. «L’esecutivo dei banchieri, di quelli della Bocconi, che se continuano così farebbero meglio a tornare nelle loro aule universitarie», scriveva furioso Grillo sul suo blog. La seconda dichiarazione  in realtà appartiene al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ex capo politico pentastellato che continua a vestire fiero i panni a 5 Stelle, il quale in un’intervista del 2020 alla trasmissione di La7 ‘L’aria che tira’ ribadisce più volte la necessità di affidarsi al comitato tecnico-scientifico nella lotta al coronavirus.

Stessa fazione politica, stesse idee, stessa anima. Certo è che da quando i 5 stelle hanno varcato la soglia di Palazzo Montecitorio, spesso e volentieri hanno provato a tenere le distanze dalle dichiarazioni del loro padre-fondatore, provando a dare tagli netti a quel cordone ombelicale che fino al 2018 li aveva alimentati con cura e dedizione. E allora, se si è in cerca di contraddizioni, basta cercarle nello stesso Luigi Di Maio, che oggi appare un governista ma è lo stesso che, con la Mloni e Salvini, nel 2018 chiedeva “l’impeachment di Mattarella per evitare reazioni della popolazione” mentre Berlusconi lo difese. Un anno dopo incontrando insieme con il Che Di Battista il leader francese dei gilet gialli Chalencon, che strizzava l’occhio alla violenza e alla guerra civile, affermava: Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi. Abbiamo molti punti programmatici in comune”. (Ilaria Quattrone, Martina Soligo,Gabriella Mazzeo, apr. 20)

A vederli oggi questi ministri 5 Stelle (quasi tutti laureati) sulla base delle posizioni prese durante la pandemia, nessuno ricorda più la loro battaglia al professionismo politico e ai tecnici. Lo stesso Grillo, nei suoi comizi e nei suoi spettacoli, portava avanti l’idea che tutti possono fare politica e che non è necessario possedere particolari conoscenze. Allora si sosteneva l’idea che per governare non fosse indispensabile militare per diverso tempo in un partito o conoscere perfettamente i meccanismi governativi, legislativi ed economici. E spesso anche sanitari.

Chissà se Goffredo Bettini si accorgerà che i suoi tanto apprezzati alleati Cinquestelle sono sempre quelli del “vaffa”, quelli ferocemente anti-americani e quei deliziati fan delle dittature. È il garante in persona, Beppe Grillo, a ricordare che il lupo grillino perde il pelo ma non il vizio pubblicando con rilievo sul suo blog un delirante articolo di Fabio Massimo Parenti dal titolo “Un maccartismo disastroso. Usa e Ue hanno perso la ragione?”. Un articolo contro il “suprematismo valoriale che mette in pericolo l’umanità” di Joe Biden e Anthony Blinken e di strenua difesa del regime di Pechino ingiustamente e surrettiziamente accusato, a suo dire, di violare i diritti civili nello Xingijan.

Al povero Luigi Di Maio, che è passato disinvoltamente da tifare Maduro a tifare Nato, da fan dei gilet gialli a entusiasta dei Democratici americani, sarà probabilmente venuto un colpo nel leggere che il suo “elevato” condivide ed esalta concetti come questi: «Anche negli Usa e in Regno Unito molti credono che il primo approccio di politica estera di Biden sia obsoleto e sciocco». Mica male per la Farnesina di Di Maio che a casa Grillo si dia di vecchio rincretinito al presidente americano.

Ma non basta, il blog di Grillo è infarcito di altre perle: «Invitare le autorità cinesi e trattarle come colpevoli dei problemi del mondo è semplicemente un atto di ostilità inaccettabile, tanto più quando basato su ricostruzioni fantasiose. Arrivare in Europa e rilanciare una strategia da guerra fredda, giudicare il North Stream 2 come un brutto progetto o chiedere all’Italia di uscire dalla Belt and Road Iniziative è semplicemente un atteggiamento da bulli. Chi minaccia chi? Chi rappresenta una minaccia per la sicurezza mondiale? Stati Uniti e Unione europea hanno perso la ragione? Oppure non riescono ad affrancarsi dalla sindrome imperialista dei conquistatori-dominatori?».

Come si vede, giudizi degni di un Pajetta anni Cinquanta, quando era staliniano, ma che hanno un pregio. Confermano quello che solo Zingaretti, Bettini e il loro Partito democratico unanime non hanno saputo e non sanno vedere (quanto a Enrico Letta, si vedrà…): i Cinquestelle di Grillo sono sempre gli stessi, demagoghi e filo dittatoriali e sono cambiati solo su un punto: sull’ubriacatura da neofiti senza arte per l’esercizio del potere. Pur di restare a galla sono pronti a convertirsi a tutto, perché, come dice saggiamente Carlo De Benedetti «sono il nulla».

Con un di più, cioè i giochi verbali da circo mediatico di un Beppe Grillo che si diverte a prendere in giro i suoi seguaci e soprattutto quei boccaloni che pensano di allearsi con lui.

CITAZIONI

-Carlo Panella, apr 2021 Linkiesta; -Piergiorgio Corbetta, il Mulino, 12/10/ 20; -Aldo Garzia, 7/6/21; -Antonio Polito, 4/2/21  Dall’«abolizione della povertà» alla svolta europeista il M5S avrà il coraggio di chiudere la fase giacobina?