Se li conosci li eviti/ Da Roma a Torino, quando il popolo prova il populismo poi non vuole più saperne

(F. CUNDARI) Da quando in Italia vigono elezione diretta dei sindaci e doppio turno, vale a dire dal 1993, la tendenza alla riconferma dei sindaci uscenti è sempre stata nettissima. È stato così nel 1997, ad esempio, per Francesco Rutelli a Roma (riconfermato al primo turno col 60 per cento), Antonio Bassolino a Napoli (riconfermato al primo turno col 72), Massimo Cacciari a Venezia (riconfermato al primo turno col 64), Valentino Castellani a Torino (riconfermato al ballottaggio), Riccardo Illy a Trieste (riconfermato al ballottaggio).

A Milano, in quella stessa tornata, la spaccatura tra Lega e centrodestra rese praticamente impossibile la riconferma dell’uscente Marco Formentini (Lega), portando alla vittoria di Gabriele Albertini (Polo della libertà), pure lui riconfermato al primo turno alle elezioni successive, nel 2001. Come la maggior parte dei suoi colleghi di lì in poi (il tasso di riconferma, sebbene in leggero calo rispetto agli anni novanta, è rimasto sempre altissimo: recentemente Youtrend ha calcolato che il sindaco che si ripresenta viene rieletto in 3 casi su 4).

Ogni tanto, ovviamente, è accaduto pure che un sindaco uscente perdesse al ballottaggio, come è capitato ad esempio a Gianni Alemanno, a Roma, nel 2013. Ma che in una grande città un sindaco uscente non arrivasse nemmeno al secondo turno, come è successo ieri a Virginia Raggi proprio nella capitale, è un caso più unico che raro. Ancora più notevole, però, è che il risultato di Raggi, insieme con il caso di Torino (dove Chiara Appendino non si è nemmeno ripresentata, e la candidata grillina Valentina Sganga, mentre scrivo, non sembra essere arrivata al 10 per cento), conferma un dato costante del Movimento 5 stelle. Un dato tanto più significativo perché in netta controtendenza rispetto all’intero panorama politico nazionale, riassumibile nella formula: se li conosci li eviti.

Non c’è vittoria, anche clamorosa ed entusiasmante (per loro, s’intende), come quelle di Raggi e Appendino nel 2016, che sia stata seguita da una riconferma da parte degli elettori alla tornata successiva. L’unico caso, almeno tra i centri maggiori, è stato quello di Federico Pizzarotti, che a Parma è riuscito a farsi rieleggere, ma solo dopo essere stato espulso dal movimento (a conferma della regola).

L’anno scorso un articolo del Corriere della sera aveva calcolato che, della cinquantina di comuni vinti dal Movimento 5 stelle a partire dal 2012, gli unici due sindaci riconfermati dagli elettori erano stati Cinzia Ferri, sindaca di Montelabbate, nelle Marche, e Roberto Castiglion, sindaco di Sarego, in provincia di Vicenza.

I dati di Roma e Torino confermano dunque per i grillini una tendenza tanto singolare quanto, ormai, consolidata: fatta la prova una volta, gli elettori non vogliono più saperne.

Resta da capire se una simile regola valga solo per il governo delle città, o anche per il governo del paese. Al momento, i risultati di tutte le tornate elettorali locali e nazionali seguite allo straordinario 32 per cento raccolto nel 2018, e alla conseguente ascesa del Movimento 5 stelle al governo, sembrano avvalorare la seconda ipotesi.

In compenso, nelle analisi a caldo, i sostenitori dell’alleanza Pd-M5s hanno insistito molto sul fatto che, dove i due partiti si sono presentati uniti, hanno vinto, come a Bologna (dove il candidato Matteo Lepore ha prevalso con il 62 per cento, e il Movimento 5 stelle ha preso il 3) o a Napoli (dove il candidato Gaetano Manfredi ha vinto con il 64, e il Movimento 5 stelle ha preso il 12). Al netto di qualche aggiustamento che arriverà con i dati definitivi, ma che non penso cambierà di molto le proporzioni, direi che il lettore può fare i conti e valutare da sé.