Trattare il vaccino non come un valore etico ma come un obiettivo concreto

(corbellini e mingardi) Almeno in Italia, oggi, la vera preoccupazione di tutti quelli che si occupano della pandemia sembra essere quella di farne un campo di battaglia morale. Il confronto è su valori o presunti tali (la vaccinazione come dovere etico e civico, l’altruismo, la libertà che ha dei limiti in quella altrui, la proprietà del corpo, eccetera) anziché su obiettivi concreti, rispetto ai quali sia possibile verificare l’efficacia delle decisioni prese.

Quando, pochi giorni fa, il presidente del Consiglio ha espresso il suo personale consenso all’obbligo vaccinale, ci siamo subito divisi fra favorevoli e contrari. Più interessante sarebbe stato chiedersi: Perché? Quali sono gli obiettivi? Ma soprattutto: intendeva dire che è favorevole all’obbligo per tutti o selettivamente per categorie di interesse?

In generale, la discussione su Green Pass e obbligo vaccinale ci sembra rivelare l’intensità della circolazione di un altro virus. Quello che evidentemente ha fatto perdere la consuetudine con i principi della logica classica o aristotelica: il principio di identità (A è A), il principio di non contraddizione (se A è vero, il contrario di A non può essere vero) e il principio del terzo escluso (se A è vera, non A non può non essere falsa).

È difficile capire di cosa si sta parlando se si confonde regolarmente il Green Pass con l’obbligo vaccinale, se si dice che stiamo raggiungendo i target della campagna vaccinale ma comunque dobbiamo introdurre l’obbligo e se si confonde la legittimità di introdurre l’obbligo vaccinale con l’opportunità di farlo e se non si specifica chi riguarderebbe l’obbligo (tutti o solo alcune professioni).

Perché il governo italiano ha deciso di introdurre il Green Pass? Quale era l’obiettivo che si è dato, perché ha congegnato così questa particolare forma di regolamentazione, perché ne ha decretato l’obbligatorietà per alcuni (per esempio per chi prende trasporti a lunga percorrenza) e non per altri (per esempio tassisti e lavoratori del servizio pubblico locale)? A oggi, non è chiaro. L’unica risposta è stata che dovevamo “fare come la Francia”. Ha senso?

In Francia la sfida era chiara: a fronte di un basso tasso di vaccinazioni, si voleva affrettare la campagna. Il risultato è stato centrato.
 La nostra campagna era però in stato più avanzato di quella francese e il generale Figliuolo dava per scontata la vaccinazione dell’80 per cento degli italiani entro fine settembre. Con l’introduzione del Green Pass sappiamo che… raggiungeremo il medesimo traguardo nello stesso periodo di tempo. La Danimarca ha deciso di abbandonare questo strumento, con una popolazione vaccinata con doppia dose al 73 per cento.
 Molti commentatori, invece, pensano non di lasciare bensì di raddoppiare, rendendo obbligatorio il vaccino.
 È una strategia sensata? La classe dirigente italiana è convinta di sì. Con quali argomenti?

Nell’ultimo mese, abbiamo visto rallentare il ritmo delle prenotazioni, a dispetto dell’introduzione del Green Pass. Non solo. Prima che venisse messo a punto, non c’era sostanzialmente nessuno in giro che protestasse e facesse propaganda contro i vaccini e abbiamo invece risvegliato un manipolo di isolati. Lasciando credere che sono più di quanti non siano davvero e così rischiando di nutrire di argomenti contro i vaccini la schiera degli esitanti. Il miraggio della vaccinazione obbligatoria sta anch’esso scaldando gli animi.

A che cosa serva il Green Pass non si capisce, se non ad assecondare il gusto di noi umani, quindi della politica, di sottoporre gli altri ai nostri indirizzi ovvero di trattare i cittadini anche un po’ come sudditi. Perché se non ha incrementato le vaccinazioni, non è nemmeno chiaro se abbia qualche utilità sul piano della riduzione della trasmissione. Può darsi che crei un senso di sicurezza fra i suoi possessori: che va benissimo per tornare a vivere a un livello di socialità più simile a quello pre-pandemico, ma può fare abbassare il livello di guardia. Certo consente alla burocrazia di sentirsi ancora più efficace nel parassitare le nostre complesse società.

La pandemia è stata moralizzata sin dal primo giorno. Per questo il discorso politico ruota attorno a premi e punizioni. Premi, a dire il vero, ne abbiamo visti poco. Non abbiamo avuto sin qui esperienza di incentivi positivi, di premi ai comportamenti virtuosi, ma solo di punizioni per tutti. I cittadini di questo Paese hanno accettato i lockdown e altre afflizioni governative, oltre al virus, nella totale assenza di un’informazione istituzionale e con un servizio pubblico radiotelevisivo del tutto assente o che rincorreva la comunicazione spettacolarizzata di cui si farebbe a meno durante una pandemia.

Siamo stati costantemente, almeno da quando la campagna è in mano al generale Figliuolo, ai primi posti nel mondo per velocità ed entità con cui ci vaccinavano. Ora che abbiamo visto che siamo capaci di gestire con responsabilità una sfida non facile come quella di vaccinare quasi tutti, non ci facciamo neanche i complimenti. Che invece, una tantum, meriteremmo. Promettiamo, al contrario, che daremo un giro di vite e introdurremo l’obbligo vaccinale. Come sottolineava Giovanni Orsina in un bel libro di qualche anno fa, le classi dirigenti italiane si definiscono sempre per la loro attitudine ortopedica. A centosessant’anni dalla unificazione, debbono sempre “fare gli italiani” – anche quando gli italiani dimostrano, come nel caso della campagna vaccinale, di essere molto più responsabili del loro cliché.

Oggi ci spiegano tutti, a cominciare dai più insigni giuristi, che l’obbligo vaccinale è costituzionale. Ci mancherebbe! Questo lo capiscono anche i bambini. Ma già qualche adolescente può dire: scusate, ma chi lo adotta l’obbligo? Visto che facciamo sempre tutto perché lo ha fatto la Cina, la Corea del Sud, la Francia ecc. (sempre quando si tratta di misure coercitive, mentre non ci viene mai in mente di copiare i Paesi nordici, Singapore o la regione di Madrid in Spagna), chi ha introdotto finora l’obbligo vaccinale anti-Covid per tutti? Solo quattro Paesi: le dittature del Turkmenistan e del Tagikistan, la democrazia islamica dell’Indonesia e la Micronesia.

Insomma, è improbabile che si arriverà all’obbligo vaccinale perché ci esporremmo al ridicolo mondiale. Nemmeno Vladimir Putin, che non riesce a far vaccinare quasi nessuno e forse è meno liberale di Letta, Draghi, ecc. si è fatto venire l’idea di obbligare alle vaccinazioni. Diversi Paesi nel mondo hanno introdotto l’obbligo vaccinale per specifiche categorie, in particolare funzionari pubblici, ed è verosimile che questo accadrà anche in Italia. Ma, nei media, scienziati ed editorialisti con inclinazioni giacobine stanno chiedendo l’obbligatorietà senza alcuna specificazione.

La questione dell’obbligo generalizzato è ampiamente dibattuta da decenni ed esistono documenti di organismi sanitari europei o dell’Organizzazione mondiale della sanità che sostengono che non serve, a meno che davvero i livelli di rischio siano molti alti per tutta la popolazione. Ovvero, che sia possibile eradicare il patogeno: non è questo il caso. Ci sono ampie prove, con diverse malattie infettive pediatriche del passato, che Paesi paragonabili come quelli europei ottengano gli stessi risultati senza obbligo e con l’obbligo – ma stiamo parlando di vaccinazioni pediatriche e alcuni Paesi anglosassoni e scandinavi hanno coperture vaccinali molto superiori a Paesi con obbligo vaccinale, come quelli dell’Est Europa o la Francia. Gli adulti, peraltro, non sono bambini che si affidano ai genitori e se li si tratta da bambini rispondono in modi imprevedibili.

Insomma, un conto è dire che il diritto prevede il trattamento sanitario obbligatorio di fronte a una situazione fuori controllo e un altro dire che in questo momento o per qualche tempo serve l’obbligo vaccinale per ottenere il controllo della pandemia. La prima è una tautologia, mentre la seconda un’ipotesi di intervento che non si basa su alcuna prova. Alla faccia del fatto che la medicina e i medici dovrebbero decidere e agire solo sulla base di prove di efficacia.

Ovviamente, la politica è altra cosa e, nella migliore tradizione nazionale, a pensare male si fa peccato ma forse ci si azzecca. In questa situazione, viene il dubbio che Green Pass prima e obbligo generalizzato poi (ammesso che ci si arrivi) siano semplicemente la risposta della politica all’incapacità di trattare coi sindacati, per introdurre invece obblighi limitati ad alcune delle categorie che sono più a rischio e che hanno più contatti. La situazione dell’università è, in questo, di plastica evidenza. Si arriva al Green Pass per paura di imporre un obbligo limitato ai professori, e si crea così l’immenso problema di gestire la verifica del Green Pass degli studenti, questione di rara complessità soprattutto nei grandi atenei. L’esito sarà verosimilmente una soluzione all’italiana, nella quale provvedimenti roboanti sono nei fatti limitati da un lassismo necessitato dall’impossibilità di gestire controlli capillari in un Paese di sessanta milioni di abitanti.

È una facile profezia, per chiunque abbia un minimo di conoscenza degli apparati burocratici. Davvero non ci arrivano economisti, giuristi e sociologi che collaborano con Palazzo Chigi e i diversi ministeri? È troppo chiedere che il governo non si limiti a presentare, per quanto con il linguaggio laconico e apprezzabile del primo ministro, delle buone intenzioni, ma pensi agli esiti possibili, e non solo a quelli auspicati, delle medesime?

Non coltiviamo, per indole epistemologica, il culto delle scienze sociali come discipline che dovrebbero allinearsi alle scienze cosiddette naturali, anzi. Notiamo con rammarico che, mentre una pandemia è una condizione sanitaria definita nella sua gravità da un parassita e dai comportamenti sociali umani, nella gestione della pandemia in corso il governo italiano ha ignorato completamente le scienze sociali. E quando ascoltiamo medici e scienziati parlare delle dimensioni sociali della gestione di questa pandemia restiamo basiti, perché dalle cose che dicono si evince che non hanno mai letto un articolo di psicologia o di sociologia e quindi usano quel pericolosissimo senso comune che da sempre nella storia è il miglior alleato sia dei patogeni sia di chi inclina all’autoritarismo.