Le 7 mosse di Baricco sulla scuola

Lo scrittore Alessandro Baricco è stato invitato dall’Indire (e dalle scuole di Avanguardie Educative)  a confrontarsi sulle idee di innovazione e così il 2 settembre ha tenuto una lezione nell’ambito della Summer School. Ecco, in sintesi estrema, cosa ha detto.

Sette convinzioni, regole di modo, mosse metodologiche nella direzione di una reinvenzione metodologica della scuola. Non fate mai premesse prima di parlare, dico sempre agli studenti, ma contravvenendo all’assunto intendo dire alcune cose spiacevoli  e parlare di altre cose che già fate (solo che vorrei dare un nome a ciò che state già facendo).

1)Innanzitutto la scuola italiana deve saper accettare fieramente  la sconfitta dell’anno scorso (che è stata anche la più grandiosa spettacolare dimostrazione della necessità di cambiare la scuola). Come leggere l’anno di pandemia e l’impatto che ha avuto sulla scuola? Al di là di moltissimi esempi virtuosi ed eroismi è importante leggervi la confessione di una obsolescenza della nostra scuola. Abbiamo registrato uno scollamento tra i tre elementi della scuola, insegnanti, genitori, studenti. Abbiamo registrato solitudine e sofferenza nelle tre componenti. Abbiamo retto, ma alla fine vi esorto ad interpretarla come (non una ma) LA sconfitta.

L’accettazione della sconfitta se intelligente e non panica ha un’enorme valore terapeutico (perchè genera rabbia, energia, furore) sulle strutture che hanno bisogno di ricostruzione. Lo choc provoca determinazione a reinventare la nostra idea di educazione. Non dobbiamo (più pensare a) Riformare la scuola ma capire meglio cosa significa per noi educare, ripensare la nostra idea di gioventù o giovinezza. Noi continuiamo a lavorare su un’ idea vecchia della gioventù che risale a prima della rivoluzione digitale.

2) Non si cambierà mai la scuola se non all’interno di una narrazione convincente, epica. La cd “Riforma Della Scuola” che si rincorre ogni volta  in pratica non è una narrazione, siamo orfani di uno storytelling. Tutte le energie, e sono tante (AE tra queste), che orbitano intorno alla riforma della scuola non si raccontano, nè vengono raccontate. Quello che si fa dentro Indire è fantastico, ma quello che si fa non si racconta, cioè non esiste. Per chi c’è dentro è tutto, è una narrazione immensa, ma ragionando dall’alto quella vena, quel piccolo filo colorato, scompare. La scuola è un gesto enorme, che coinvolge così tante persone, che non può non esser mosso da una forza narrativa enorme. Occorre mettersi quindi nelle mani dei narratori. Propongo una narrazione simile a quella che Kennedy fece in un famoso discorso, quando chiese al Senato enormi risorse per le imprese spaziali. Disse: E’ la cosa più complicata e cara che noi abbiamo mai fatto. Anche  noi intendiamo raccogliere un paese intero intorno a questa impresa costosissima  epica ed emozionante, le sue tre componenti debbono far pace per mettere insieme in cima a qualsiasi progetto la volontà di rifondare il concetto di educazione.

3) La struttura, il modello deve essere flessibile e aggiornabile con grande velocità e rapidità. Attualmente la scuola è monolitica, marmorea, davanti all’emergenza la struttura collassa perchè non riesce ad aggiornarsi. La dad ne è stata la dimostrazione. Non si possono tenere 5 ore dei ragazzi davanti ad un pc. Forse per caso eravamo, ciechi, ottusi? No, abbiamo pagato una scelta antica, quello di aver scelto un modello marmoreo, immenso, coerente, compatto (una scuola sola per una intera comunità). Mattoncini uguali per tutti in un mondo come il nostro (materie, orari). Bene, noi dobbiamo rendere quei mattoncini differenti. Per capirci, ipotizziamo di avere in testa un’idea di educazione molto chiara. Dovremo costruire  un sistema in cui nessuna delle scuole che compongono quel modello incarni  veramente quell’idea di educazione. Quell’idea è invece  data dalla somma di tutte le scuole differenti, nessuna da sola realizza compiutamente quell’idea. L’idea, che è stata molto utile in passato, che andavi in una scuola di Forlì oppure di Agrigento e trovavi un segno chiaro di una certa idea di educazione, del curricolo, del rapporto, oggi è un’idea suicida. No, oggi a Forlì trovi una cosa, ad Agrigento un’ altra cosa, ed è la somma di queste due cose che ti avvicina a ciò che tu credi sia educazione.

4) Chi sa come si fa una scuola migliore? I ragazzi, o meglio la parte più sveglia, consapevole dei ragazzi, non tutti. L’errore di fidarsi degli esperti secondo la cultura novecentesca ce la siamo portata anche dentro la scuola. Noi costruiremo una scuola nuova ma a farlo non saranno gli esperti, anche gli esperti, ma non solo loro. Occorre il contributo degli esterni alla scuola ma il baricentro deve essere, per me, il punto di vista dei ragazzi più brillanti. Può anche essere  un gruppo abbastanza ristretto, però di gente che viene fuori della scuola, affiancato da qualche esperto e dai ragazzi (la politica della pandemia lasciata solo ai medici dimostra dove abbiamo fallito, avevamo bisogno anche di filosofi, poeti, scrittori…).

5) Per inventare prova  a parlare proibendoti di usare qualche parola o espressione. Nel caso della scuola occorre proibire alcuni nomi totem (o categorie) quali CLASSE, MATERIA, INSEGNANTE DI UNA MATERIA, ORA DI SCUOLA , ISTRUZIONE (ormai non significa più nulla)

6) Come fare metodologicamente a cambiare una cosa così grande come la scuola? Col contagio. Rendere qualche cellula contagiosa (le scuole di AE certo hanno dentro un virus, solo che non sono abbastanza contagiose) Voi parlate così: “occorre convertire, portare a sistema l’anomalia…”Ditelo così: Vorremmo rendere mostruosamente contagioso ciò che è bello.

Partire da dove? E’ una mia idea, dalle scuole medie che sono il punto centrale più debole dell’organismo. E’ il segmento che patisce di più il cambiamento dei ragazzi. Lì alle medie i ragazzi vedono tutta l’Italia, gomito a gomito ci sono tutti gli italiani per quanto diversi essi siano. Poi alle superiori questo non succede più. Ma anche partire dal Sud. Le cellule contagiose  spesso sono al Sud (c’è un serbatoio di forza, di passione, di umanità, di talenti di cui non disponiamo in maniera così pronunciata altrove).

7) Qualsiasi reinvenzione della scuola passa per mettere medotologicamente il corpo del ragazzo al centro dell’esperienza scolastica. Andare a scuola è una esperienza innanzitutto “fisica” non solo mentale. Imparare, insegnare, ascoltare sono gesti fisici molto più di quanto pensassero gli esperti di questa scuola, dove c’è un predominio spropositato del “mentale”. La riprova è stata che abbiamo pensato che si potesse trasferire con la buona volontà, in assenza dei corpi, quel modello (per esempio abbiamo pensato di trasferire in dad anche educazione fisica). Il banco è una delle possibilità di stare a scuola ma deve essere messo dentro una rete di possibilità. All’inizio il banco era una forma di ordine, di calma, di identità che a quell’Italia mancava, ma adesso non è più un oggetto adatto per la nostra società.

8) Cambia gli strumenti che le persone usano e cambierai il mondo (nei nuovi device alcuni nerd hanno introiettato un mondo intero). Cambia l’editoria scolastica e l’edilizia scolastica e cambierai così il fare scuola. Se pensate a classi senza banchi e dove si entra a piedi nudi, l’idea di scuola eccome cambia.

9) Non si può fermare l’innovazione per paura di sbagliare. Sbagliare non è mai un’eventualità ma è una certezza, la paura ci frena anche nella vita. Noi viviamo sempre negli errori, sostituiamo degli errori ad altri errori, rischiamo sempre per evitare altri errori. Pertanto focalizzatevi su quello che state facendo in questo momento e accettate l’errore. Ci sarà sempre un certo numero di errori con cui potete convivere.

10) Infine, non segnatevi nessuno di questi punti precedenti catalogandoli sotto queste due parole, utopia e provocazione. Sono tutti punti che non hanno niente a che vedere con l’utopia e la voglia di provocare. Insieme perseguono un solo preciso scopo, che la scuola diventi il lato al sole della camminata dei nostri ragazzi. La scuola significa trasmettere sapere, o educazione? No, deve essere il pezzo del cammino che si fa al sole, fuori dall’ombra, dal buio, dal freddo. Possiamo sbagliare tutte o tante delle nostre mosse, ma almeno questo lo avremo fatto, pensare ad un percorso che riscaldi i nostri giovani