Scuola/ Letta e il silenzio sui dati Invalsi

(Luciano Capone, il Foglio) Qualcuno ha letto o sentito una dichiarazione di Enrico Letta sugli allarmanti dati Invalsi? Da un leader della sinistra ci si aspetterebbe qualche parola. La rilevazione mostra uno stato preoccupante della scuola e, soprattutto, l’effetto devastante della pandemia e delle chiusure scolastiche sui giovani. Le conseguenze peggiori le hanno subìte i ragazzi delle scuole medie e superiori, che sono stati molto più tempo a casa rispetto agli alunni delle elementari, e su cui, evidentemente, la Dad non è riuscita a compensare la mancanza di didattica in presenza.

I dati Invalsi mostrano un forte aumento di studenti che non raggiungono il livello minimo in italiano (dal 35% al 44%) e in matematica (dal 42% al 51%). Ma il dato più drammatico è che il calo generalizzato dell’apprendimento non è omogeneo, ma concentrato tra gli alunni che provengono da contesti sociali, economici e familiari più sfavorevoli. E il divario è, ovviamente, anche territoriale: nelle regioni meridionali gli studenti che non raggiungono risultati adeguati in italiano superano abbondantemente il 50%, in matematica il dato sale 70%.

Ciò vuol dire che la pandemia ha ridotto notevolmente l’effetto perequativo della scuola e, quindi, il doppio ruolo di ascensore sociale e di riequilibratore delle disuguaglianze socio-economiche. La scuola dovrebbe essere al centro del dibattito pubblico e il primo punto dell’agenda politica di ogni forza politica, soprattutto di un partito di sinistra come il Pd. Ma non è così.

Letta ha scritto nel suo libro “Anima e cacciavite” che ha scelto di tornare a fare politica e di prendere la guida del Pd per dare una risposta ai giovani che gli chiedevano una ragione per tornare in Italia. In effetti da segretario ha immediatamente messo al centro i giovani, ricordando che sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto della crisi: “Li abbiamo rinchiusi in casa, loro che non hanno problemi di Covid, perché dovevamo salvare gli anziani di questo paese – ha detto –. I giovani si sono sacrificati per un anno e mezzo, hanno sacrificato gli anni più belli della loro vita: io ho 54 anni e il 57simo o il 52 esimo sono anni uguali. Ma per chi ha 17anni o 18anni no, ognuno di noi si ricorda cosa faceva esattamente a quell’età”, ha ripetuto più volte. Ma come risposta a questo sacrificio Letta ha offerto una specie di risarcimento, che è diventata la proposta-bandiera del Pd: la dote da 10 mila euro ai 18enni, da pagare con un aumento della tassa di successione sui più ricchi.


Si tratta, evidentemente, di una proposta simbolica che, nella scia delle politiche degli ultimi anni, si limita a elargire un bonus senza risolvere alcun problema. Perché la dote arriva a una minima parte di giovani e a un’età in cui il danno dovuto alla mancata istruzione è, se non impagabile, sicuramente superiore a un regalo di compleanno da 10 mila euro. Se Letta intende fare davvero qualcosa per i giovani dovrebbe elaborare una proposta per la scuola: soluzioni per evitare che tra qualche mese proseguano le chiusure e la Dad, un piano per recuperare il debito formativo accumulato dagli studenti nell’ultimo anno e mezzo, un programma per migliorare la qualità, la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti al posto delle assunzioni attraverso sanatorie. Ma il silenzio sui dati Invalsi mostra che anche per Letta è sempre più comodo affrontare i problemi con un bonus piuttosto che risolverli col cacciavite.