Se insistete/ Guia Soncini spiega i desiderabili, i desideranti e il mestiere del sindaco che non vuol fare più nessuno

Alle medie passavo i pomeriggi a casa della nonna d’un’amichetta, mollate entrambe lì da genitori che non avevano tempo per noi. A una cert’ora si svolgeva un sempre identico siparietto. La nonna diceva «bambine, volete i toast con la nutella?»; io dicevo «signora, se insiste»; e la vecchia mi freddava: io non insisto, ma se li vuoi te li faccio.

«Se insiste» è il modo goffo in cui tentavo d’inserirmi nella categoria cui non appartengo, delle due grandi categorie cui appartiene l’umanità.

La prima, quella cui naturalmente sono vocata, è quella di Annie Hall. C’è quella scena in terrazza, in “Io e Annie”, in cui Woody Allen invita Diane Keaton a cena per il venerdì, lei dice che è libera, al che lui si ricorda d’avere invece lui un impegno, e quindi chiede se sia libera sabato. Lo è. A quel punto lui dice quel che tutti pensano di fronte a chi è troppo disponibile: le chiede se abbia qualche malattia contagiosa.

Fatti desiderare, raccomandavano le nostre nonne, senza capire che è come dire «sii strafiga»: è una vocazione, mica un gusto acquisito. Se non sei una portata a farla cadere dall’alto, se sei una cui viene spontaneo implorare, à la Meredith Grey, «Prendi me, scegli me, ama me», allora c’è poco da tirarsela. Tanto vale ammettere che hai tutto il carnet di ballo libero, il venerdì e pure il sabato.

E a questo punto dell’antropologia dei desiderabili e dei desideranti, avrete capito che questo è un articolo sulle elezioni amministrative. Quelle che sembrerebbero a tema «desiderabili».

Il sindaco non lo vuol fare più nessuno. Che sia perché vieni arrestato per un appalto e poi cinque anni dopo ti dicono che s’erano sbagliati (è successo al già sindaco di Lodi, lo dico casomai oggi fosse la prima volta che leggete un giornale in questa primavera), o perché sei responsabile di qualunque puttanata avvenga in città, e un bambino che si chiude la mano nella porta della scuola ti vale un avviso di garanzia (è successo alla sindaca di Crema).

Può meravigliare, con queste premesse, che il centrodestra non abbia ancora un candidato a Bologna o a Milano? (Il centrosinistra ufficialmente non ne ha uno da nessuna parte, dovendo essi passare per le primarie – sia mai che i vertici di partito servano a prendere decisioni – il che ha permesso a Carlo Calenda di maramaldeggiare, in una recente diretta Instagram, che lui è intervistabile in quanto candidato sindaco di Roma e Gualtieri ancora no).

Invece di sforzarmi di fare una sintesi, scippo quella di qualche settimana fa di Concita De Gregorio: «C’è qualcosa che non funziona in un sistema che esclude dalle responsabilità di gestione chi non sia indigente, miliardario, patologicamente ambizioso o narciso al punto da non vedere la sventura che lo aspetta. Qualcosa di serio, grave assai, che non funziona. Solo i pazzi, le vecchie glorie con nulla da perdere e i situazionisti si candidano ormai».

Chissà a quale di queste categorie appartiene Maurizio Gasparri, che – fino a un minuto prima che il centrodestra scegliesse, ieri pomeriggio, come proprio candidato Enrico Michetti – ha continuato per settimane a reiterare, un po’ Annie Hall un po’ Meredith Grey, la propria disponibilità a fare il sindaco di Roma, senza che la coalizione prendesse lui, scegliesse lui, amasse lui.

O Roberto Gualtieri, che doveva essere il candidato sindaco del Pd a Roma, poi arriva Letta e dice no aspettiamo un attimo, poi il sindaco doveva farlo Zingaretti, poi no ai Cinque del quinto piano non va bene, ne vogliono uno che non batta la Raggi, non avevamo Gualtieri che era libero a cena il venerdì e anche il sabato?

Va detto che, a noialtre maggioranza di desideranti, questi che non sanno fare i desiderabili fanno simpatia. In un mondo che feticizza il carisma, il fascino senza sforzo, la desiderabilità distratta, abbiamo diritto anche noi a figure pubbliche nelle quali immedesimarci, figure pubbliche che come noi abbiano liberi tutti i venerdì sera e non si vergognino di farci capire che vorrebbero tanto essere filati.

De Magistris, per esempio. Non può fare per la terza volta il sindaco di Napoli, e mica si allontana dalla pubblica amministrazione, si fa desiderare con la sola forza dell’assenza, s’ammanta di carisma e sintomatico mistero: macché. Pur di restare nel giro, si candida a presidente della Calabria, inventando così la figura dell’amministratore bilocale.

O Antonio Bassolino, che meno lo rivogliono sindaco di Napoli più lui è determinato a rifarlo, tipo quelli cui concedi di malagrazia di venire a una cena cui non avevi intenzione d’invitarli, e – invece di farti pesare la loro presenza il meno possibile – a fine serata si versano tredici bicchieri della staffa e sono gli ultimi a levarsi di torno. Non fischiettate sentendovi esclusi, non lo siete: siete anche voi così, mai invitati d’onore e sempre quelli che non si schiodano, e Bassolino è il vostro candidato.

Le categorie del desiderio potrebbero, forse, persino determinare degli esiti elettorali. A Bologna si parla, per il centrodestra, di Andrea Cangini (già direttore del Carlino, figlio di già direttore del Carlino: più Bologna di così, solo se si candidasse il proprietario di Tamburini – la più famosa rosticceria del centro, lo dico per i forestieri).

Cangini le cui possibilità di vittoria, eventuale replica del 1999 (quando il candidato del centrodestra, Giorgio Guazzaloca, vinse le elezioni a Bologna: non era mai successo nel dopoguerra, sembrò la fine del mondo), dipendono da quanto Isabella Conti sia desiderante.

Per ora, nelle primarie del centrosinistra, la Conti (Italia Viva) se la vede con Matteo Lepore (Pd). Sono tutti certi che perderà (non si è mai visto che il disciplinato elettorato bolognese non voti quel che vuole il partito, suvvia), ma l’incognita è: se perde, poi vorrà presentarsi comunque non da candidata ufficiale del centrosinistra? Lei giura di no, ma le leggi del desiderio hanno le loro ragioni. E, se la parte desiderante vince su quella desiderabile, la fine è nota: che, con due candidati che si dividono i voti di sinistra, vince Cangini.

Il quale, nel frattempo, non è mica ancora candidato. È ancora alla fase in cui gli offrono i toast con la nutella, e lui fa il prezioso: se insistete.