Letta dipinto da Salvatore Merlo

(il foglio) Magnificava il maggioritario, ma è rinculato sul proporzionale. Voleva Prodi al Quirinale, ma il Pd è tutto un “si ricandidi Mattarella”. Aveva appena finito di presentarsi come disarticolatore di correnti (“il mio delegato è Schwarzenegger”) sennonché Paola De Micheli ne ha subito fondata una. Infine ieri pensava d’aver trovato l’uovo di colombo, aumentare la tassa di successione. Ma ecco Draghi: “Non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli”.

Spiazzato dagli eventi, da Draghi e dal suo partito, dall’opposizione e dagli alleati, Enrico Letta – si sa – voleva pure legarsi definitivamente ai 5 stelle. Un disegno strategico. Solo che l’alleanza non viene ratificata da nessuna parte. Non si chiude a Roma né a Napoli, e a quanto pare nemmeno in Calabria. Insomma i grillini sgracchiano, come direbbe Lucia Azzolina, e lui si asciuga il viso. Quelli boicottano la riforma della Giustizia, l’unica in campo, e lui anziché arrabbiarsi si volta dall’altra parte e accusa Salvini di non voler fare le riforme. E anzi, meno male che c’è Salvini. Una garanzia. L’energumeno nel quale specchiarsi, a contrario, come i romani con i barbari nella poesia di Kavafis: “Era una soluzione, quella gente”. Se non ci fosse, Letta lo inventerebbe.

Ecco dunque il selfie con la felpa di Open Arms proprio come l’altro indossava quella con la ruspa. Senza Salvini cosa resterebbe? In soli due mesi Letta le ha già dette tutte, ha scavato nelle latebre della sinistra, sbattendo come una particella subatomica. Dal voto ai sedicenni (pallino dei cattolici sin dal 1814) fino alla questione di genere (usata per cacciare un capogruppo che legittimamente non gli piaceva). Dalla piattaforma digitale (quella che Renzi voleva battezzare “Bob”), alla tassa di successione che però almeno Vincenzo Visco – nel 1996 – chiamava con il nome suo: patrimoniale. Fino alla vecchia e cara fase psicanalitica della sinistra. “Dobbiamo chiederci chi siamo”, ha detto a un certo punto il segretario. In pratica il Pd come quel quadro che Gauguin intitolò “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”. Quasi Benigni e Troisi al confine di Frittole. “Chi siete? Quanti siete? Un fiorino!”. Così adesso, a riprova che agli scricchiolii segue sempre uno schianto, arriva pure Draghi, che gli dà uno scappellotto. E questo mentre lui rilascia un’intervista nella quale torna a parlare del tradimento di Renzi. Nove anni fa. “Ho imparato tanto”, dice. “Ora colleziono campanelle”, aggiunge. Come se farsi cacciare da Renzi sia stata la cosa che gli è riuscita meglio. Il dato più saliente del sua biografia.