Alberto Gerli e il suo modello matematico/ Vatti a fidare del Corsera

L’imprenditore Gerli, esperto di sturtup, si è dimesso dal CTS. Era uno dei 12 membri del Comitato tecnico scientifico nominato martedì scorso con ordinanza di protezione civile. Dopo la sua nomina erano stati sollevati dubbi sull’opportunità di affidargli un incarico così importante, nella gestione dell’emergenza sanitaria. Da un anno studiava i numeri della pandemia, e aveva anche elaborato un modello matematico in grado, a suo dire, di anticipare l’andamento della curva. Ma in diverse occasioni le sue previsioni sono state sconfessate dalla realtà. Appena un mese fa aveva detto per esempio che il Veneto a fine febbraio sarebbe passato in zona bianca. E come abbiamo visto le cose sono andate diversamente: la Regione guidata da Luca Zaia è passata prima in fascia arancione e ora è passata in zona rossa.(da Fanpage)

Sul Corsera invece avevo trovato questo articolo elogiativo, che avevo pure pubblicato. Mi scuso con i lettori anche se il Corsera ancora non si è scusato

Da oltre un anno la comunità scientifica lombarda fa riferimento al lavoro di Alberto Gerli, ingegnere, che ha elaborato un modello matematico di previsione sull’epidemia che si è rivelato di eccezionale efficacia.

Gerli propone un modo più semplice per calcolare l’R(t): si considerano i casi delle ultime due settimane e si confrontano con quelli di due settimane sfasate all’indietro (di fatto, tra 7 e 21 giorni fa). «Un calcolo — spiega l’ingegnere — che ci restituisce l’andamento, e messo insieme all’incidenza dei casi per 100 mila abitanti dice quanto sia grave la situazione».

La forza dell’«indice Gerli» è la tempestività, cioè mostrare quale sia l’R(t) oggi, mentre le elaborazioni «ufficiali» scontano sempre un ritardo, perché riferite a dati di oltre 10 giorni prima. «Il momento di intervenire — riflette l’ingegnere — sarebbe quello in cui gli indici iniziano a salire. Ormai sappiamo che le curve dell’epidemia durano 40 giorni, e che se si vuole contenere la crescita bisogna farlo nei primi 17 giorni. Altrimenti, le “curve” seguiranno il loro corso “naturale”».

Dunque nei prossimi giorni i contagi in Italia continueranno ad aumentare, con probabili picchi di 35-40 mila casi intorno al 20 marzo: e a limitarli non saranno le «zone rosse», perché l’epidemia inizierà a «sgonfiarsi» da sola.

L’intero ragionamento si fonda su una comprensione della dinamica primaria dell’epidemia, che ormai è patrimonio di conoscenza comune: quel che vediamo oggi (i dati sui nuovi «positivi») è successo 10-15 giorni fa (il momento del contagio).

I contagi che sono avvenuti in Lombardia in queste ultime due settimane in «giallo» e «arancione», ad esempio, si manifesteranno nei prossimi 10-15 giorni, anche se la Regione sarà in «rosso». L’efficacia del contenimento è dunque dettata dalla rapidità rispetto ai primi segnali di crescita. Se arriva in seguito, a ondata ormai esplosa, «il contenimento — spiega Gerli — sarà utile solo “per il dopo”, per determinare quanto rapida sarà la “discesa”, non per limitare la crescita».

Così sarebbe avvenuto anche per il lockdown della scorsa primavera. Riflette il professor La Vecchia: «Ancora una volta i provvedimenti vengono presi tardi, quando la crescita dell’epidemia ormai si sta livellando da sola. Si tratta di constatazioni senza polemica, perché gestire un’epidemia è estremamente difficile. Ma sembra che solo quando il numero di casi è molto alto, e molte persone si ritrovano magari con un amico o un parente malato, si possa accettare che la situazione richieda interventi. E poi si ha l’impressione che questi provvedimenti abbiano impatto, mentre invece probabilmente l’andamento è già predefinito. Ad esempio a Brescia e Bolzano, due delle zone più colpite in questa fase, vediamo dei forti rallentamenti, segno che probabilmente si è arrivati a una saturazione dei soggetti suscettibili. Siamo ancora in una situazione seria, ma non bisogna dimenticare che non è assolutamente paragonabile a quella drammatica della scorsa primavera».