Lamezia/ Piccioni & De Magistris Dimmi con chi vai…

Quando ho letto che l’avv. Rosario Piccioni a Lamezia avrebbe appoggiato il sindaco di Napoli De Magistris per le regionali calabresi non mi sono meravigliato più di tanto. Sono convinto da molto tempo che l’avvocato è professionista serio ma in politica io e lui abbiamo simpatie inconciliabili. Succede. Dopo decenni te ne fai una ragione se a te piace il pesce e a un altro la carne. De gustibus. Tutto si gioca, per quanto mi riguarda, sul vecchio adagio “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, perciò vorrei prenderla alla lontana per spiegare quanto esso sia sempre valido. Tanti anni fa a Nicastro (una volta ci conoscevamo tutti) c’era un imprenditore ben conosciuto il quale si accompagnava sempre con un malandrino. Nei ristoranti li vedevi insieme, a passeggio li vedevi insieme, e tutti si chiedevano il perchè di questa strana amicizia. Ciascuno di noi può essere una persona rispettabile ma se frequenti uno che non è alla tua altezza tutti si chiedono come mai. Cosa significa tutto questo? Significa che i nostri rapporti e legami sociali sostanziano la nostra vita personale. Anche in politica non conta nulla quello che dici e fai, è essenziale con chi cammini insieme. Oggi poi non significa niente rifarsi a modelli nazionali, dire per esempio io sto con Salvini o con Di Maio, con Berlusconi o con la Meloni. Quanti personaggi avete visto in posa per  la foto con Berlusconi o con Salvini così come prima la facevano con Pucci o con Pujia, Scopelliti o Misasi, e la esibiscono come carta d’identità? I personaggi nazionali sono simboli che nel reality della politica italiana non significano più nulla, come se uno volesse comunicare qualcosa esibendo la foto scattata con Barbara d’Urso. E’ più importante con chi fai politica (ti strusci) a livello regionale, locale, e certe inchieste dimostrano che qualcuno per prendere voti è disposto anche ad incontrare personaggi impresentabili.

Ma torniamo a Piccioni del quale vidi una foto con Roberto Speranza, attuale ministro della Salute. Dicevo che con l’avvocato abbiamo gusti diversi, per me Speranza può fare il deputato, il capogruppo, ma non gli farei fare mai e poi mai il Ministro di un ministero così importante e sgangherato. Opinioni? Certo (rimando all’articolo di Ricolfi). Ecco come nascono le differenze politiche, per Piccioni probabilmente e per tutti i suoi amici Speranza è un fuoriclasse, per me è inadeguato (a chiudere o aprire dall’alto, on-off, ci riesco pure io). Se non lo fosse il debito sanitario calabrese lo avrebbe già risolto, e non con i commissari. Come ha spiegato Guido Tabellini, “rispetto ad altre democrazie avanzate, l’Italia sembra meno capace di selezionare i suoi rappresentanti politici… Vi sono paesi europei in cui i politici sono selezionati molto bene. La Svezia è una di questi”.

Insomma la politica, in buona sostanza, è questo. Per me Draghi vale più di Conte, per i Piccioni (e i Bersani o Speranza) è il contrario. Ci dividono le idee? No, solo le persone.

Sulle petizioni di principio, gli obiettivi generali, i “vaste programme” alla De Gaulle magari concordiamo, ma poi sono le persone in carne ed ossa a dividerci. Le valutiamo in maniera diversa.

Prendiamo De Magistris, sul quale rimando all’ articolo di Marco De Marco che pubblico sotto. Il primo a sdoganarlo e rimetterlo in circolo per nuove avventure alla Buzz Lightyear è stato Massimo Giletti su la Sette.

Ecco, Giletti è un altro esempio di quello che sto sostenendo: non c’è uno/a di quelli che lui fa partecipare alla sua trasmissione che io consideri “credibile”. Si pensi, per non elencare tutti i Telese & De Girolamo & Asia Argento che ospita, che ha presentato il giornalista calabrese Polimeni come se fosse il nostro Giorgio Bocca. Dunque Piccioni al pari di Giletti considera De Magistris una guida politica affidabile per la Calabria e gli sta fornendo una reclame agratis.

Il consuntivo come sindaco di Napoli (in 10 anni ha cambiato 11 assessori in una città dove si può lasciare una vasca da bagno per strada e non succede niente)  lo tralasciamo perchè sarebbe utile un serio fact-checking ma i tifosi (a favore o contro di lui) lo respingerebbero a seconda del responso. Il dibattito sui fatti è noiosissimo, l’internet vuole emozioni o battute tranchant. La spazzatura mandata all’estero e il debito enorme non sono fatti ma per i Piccioni solo interpretazioni.  Chiunque può fare il sindaco di Napoli  visto che il debito del Comune  si aggira intorno ai 3,5 miliardi di euro, oltre 1,9 miliardi sono le tasse non riscosse, a Napoli solo il 27% dei cittadini paga le imposte. L’economista Marani: “La città è insolvente, se azzerassimo il debito non è detto che i conti tornerebbero in ordine”.

Quello che vorrei sottolineare è riferito a Piccioni – che è un avvocato, non un posteggiatore abusivo di Napoli – e a tutti i garantisti non manettari.

Quando faceva il pm a Catanzaro De Magistris ci ha lasciato due ricordi indelebili su come si costruisce una carriera. Il primo sono gli avvisi di chiusura indagini che trasmessi alla stampa nella loro incredibile lunghezza erano già sentenze in nuce di uno Stato totalitario (quando arriva la verità processuale lo sputtanamento è già avvenuto); il secondo riguarda l’archivio Genchi, dal nome del suo superconsulente tecnico Gioacchino Genchi che mise sotto sorveglianza le più alte cariche dello Stato a cominciare da Prodi per finire ai parlamentari con “…l’obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilita’ dei dati del traffico dei parlamentari, non chiedendo l’autorizzazione alla Camera di appartenenza, pur di acquisire con urgenza i tabulati”.

Questi due ricordi testimoniano a distanza di anni ancora la caratteristica principale del politico alla De Magistris, ennesimo esempio di pm che con le sue indagini spericolate e senza rispetto delle garanzie degli indagati si è costruito un nome adatto a farsi votare e soprattutto a farsi ospitare da Giletti.

Infatti, per valutare un magistrato (non dalle sole presenze televisive) occorrono i numeri. Fatto 100 il numero di quelli che ha indagato, quanti di questi 100 sono stati poi condannati? In questa percentuale, che per LDM è irrisoria (perchè lui la sentenza la emetteva con la chiusura delle indagini preliminari che veniva pubblicata sui giornali in paginate gratis), c’è la credibilità dei magistrati.

IL METODO LDM Ha detto Antonio Di Pietro: «Le attività di indagine dei pm hanno due livelli: primo, l’ esistenza del reato, secondo, chi l’ ha commesso. Ma se io mi metto a indagare prima su chi l’ ha commesso senza accertare se il reato è stato commesso, ho creato di fatto una colpevolezza prim’ ancora che ci sia». E purtroppo secondo Di Pietro (si veda il caso Eni) non è un caso isolato: «Quel modello di indagine… già da quando c’ero io in procura rappresentava una spaccatura che permane ancora all’ interno non solo della procura di Milano ma del sistema complessivo dell’ attività investigativa italiana. Spaccatura che può essere risolta solo dal legislatore per evitare inchieste dagli effetti disastrosi e che dovrà dirimere una questione: quando deve intervenire il pm? Per accertare se è stato commesso un reato o per accertare, premesso che il reato è stato commesso, chi è il colpevole?» Ecco, LDM nella sua vita precedente era sempre a caccia di colpevoli con una rete a strascico. Individuati i colpevoli (politici) tentava di trovare i reati che avevano commessi.

I Piccioni di ogni contrada gli vanno appresso perchè i Masaniello ai popoli meridionali piacciono, con la toga o senza. Anzi, quando la tolgono come fece Di Pietro in udienza vengono consacrati e alcuni anni dopo si ritirano dopo aver prodotto beni privati invece di quelli pubblici.

Non mi piacciono i magistrati? Al contrario, mi piacciono quelli che parlano con sentenze giuste e amministrano la giustizia. Sono la maggioranza e da Giletti non ci finiscono mai. Sono quelli, beninteso, che cercano i responsabili di un reato avvenuto e non quelli che partono da un nome noto e indagano per vedere se ha commesso eventuali reati. Non si permettono neppure di insolentire un ex presidente della Consulta affermando che un loro provvedimento è incostituzionale perchè non piace a loro.

QUELLO CHE I FEDELI NON SANNO DI DE MAGISTRIS (Marco Demarco- Corsera)

«Su ciò di cui non si può amministrare, si deve nominare». Che sia questa, parafrasando il filosofo, la logica di de Magistris? Dodici rimpasti di giunta, 37 assessori dimissionati, sostituiti o andati via sbattendo la porta; quattro vicesindaci che, costretti o rassegnati, hanno abbandonato la poltrona; deleghe accorpate e disgiunte a seconda del vento, e uffici fatti e disfatti. Altro che Virginia Raggi. Inceneriti tutti i record nazionali, a Napoli si è badato anche ai dettagli. Sono settanta gli staffisti presi e lasciati, alcuni anche in malo modo; una decina i dirigenti comunali sostituiti per incompatibilità varie; e una cinquantina i manager nelle società partecipate che hanno fatto la stessa fine, senza contare quelli che stanno per prendere il posto degli amministratori unici: ora, a pochi mesi dalle prossime elezioni.

Tutto questo in una città che ha in bilancio un rosso di oltre due miliardi e mezzo, in cui si riescono a riscuotere appena 16 multe su cento, con un porto in crisi e quasi tutti i grandi progetti bloccati, a partire dall’ex Italsider di Bagnoli. Ridotta all’osso, la contabilità «condominiale» di dieci anni di amministrazione de Magistris è questa. E sicuramente è approssimata per difetto. L’eccesso è nel parossismo che governa le scelte del sindaco, ineleggibile dopo due mandati, ormai da tempo senza una maggioranza autosufficiente, e perciò così occupato a spostare pedine. Disconosciuto anche dal Pd con cui ha a lungo flirtato, de Magistris è ora già con un piede in Calabria, dove è in corsa per le regionali.

Un parossismo, il suo, che è stato notato perfino nelle cose che lo circondano, ad esempio la scrivania che lo accoglie nello studio al secondo piano di Palazzo San Giacomo. Da questa scrivania il sindaco fa le sue dirette televisive, da qui lancia i suoi messaggi di pace e di guerra; e da questa prospettiva lo vediamo tutti, il più delle volte in maglioncino girocollo e sempre con quella faccia un po’ così, con l’espressione imbronciata di chi non ha ancora fatto la rivoluzione. Cos’ha questa scrivania? «Sembra una canzone di Jovanotti», ha scritto Marco Ciriello, giovane e valente scrittore napoletano. Davanti al sindaco «c’è tutto, per non scontentare nessuno, dai corni a Maradona passando per la kefiah e il rosario di Madre Teresa, è il caos danzante di Nietzsche che, però, non genera l’inatteso, ma solo una ammuina che copre l’assenza della politica».

Proprio per questo, tra i primi addii al sindaco ci fu quello di Ugo Mattei, teorico del «benecomunismo», chiamato a dirigere l’azienda dell’acqua. Tra gli ultimi, invece, quello di Eleonora de Majo, provenienza centri sociali. Ma nell’elenco c’è anche Roberto Vecchioni, designato a guidare un forum delle culture e garbatamente liquidatosi dopo poche settimane. «Normale fisiologia amministrativa», dice il sindaco. Semmai, dieci anni di assoluta incertezza su cosa fare e dove portare la città.De Magistris è andato forte all’inizio, quando ha cavalcato come un surfista l’onda di piena del turismo nazionale e internazionale; quando ha saputo «vendere» senza imbarazzo ogni forma di napoletanità, anche la più oleografica. Ma è entrato in affanno quando, oltre che con i turisti, ha dovuto fare i conti con i napoletani reclamanti l’ordinaria amministrazione e la qualità dei servizi. Infine, si è letteralmente spiaggiato quando l’emergenza, sparita al tempo dei rifiuti per strada e dell’indignazione generale, si è riproposta ora con la pandemia. Seducente nei tempi buoni, assente in quelli difficili.