Brambilla e Negro/La cura per la sanita’? Riforme (senza debiti e tasse)

La pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza una serie di carenze sia nella sanità pubblica di base sia in quella integrativa privata troppo basata sul sistema pubblico per poter funzionare in modo indipendente ed efficace. La gestione della spesa sanitaria ormai frazionata tra 21 entità locali ha mostrato tutti i suoi difetti: basti pensare che nel 1980 avevamo un posto letto ogni 94 abitanti circa, mentre nel 2017 ne avevamo 1 ogni 398 abitanti con carenza di posti di terapia intensiva e di personale sanitario. A loro volta le regioni parcellizzano la sanità in una quantità di unità operative chiamate Asl in 6 regioni, Ausl in Friuli Asu, As e Ats in altre tra cui la Lombardia; anche questa babele di sigle è indicativa dello stato di funzionamento.

Invece di ragionare su come razionalizzare la spesa, spesso ci si concentra sui presunti tagli alla sanità pubblica quantificati in 37 miliardi fatti, dicono, per privilegiare la sanità privata. Ma è proprio così?

Secondo i dati tratti dal bilancio dello Stato e ben analizzati da Luigi Marattin, il Servizio sanitario nazionale costerà 121 miliardi di euro nel 2021. Vent’anni fa, nel 2000, era pari a 66 miliardi per cui l’aumento cumulato di periodo è stato pari all’84,8%, superiore all’inflazione; anche calcolando l’incremento al netto dell’inflazione cumulata, la spesa sanitaria è aumentata del 34,38%. Scende, invece, ma di pochi decimali se la raffrontiamo alla crescita del Pil soprattutto negli ultimi anni e all’aumento della spesa pubblica totale che nel periodo è sensibilmente cresciuta, trainata dalla spesa assistenziale.

In dettaglio, tra il 2013 e il 2019 rispetto ad un incremento dell’inflazione cumulata di circa il 3,8%, la spesa per acquistare servizi da privati (spesa per prestazioni acquistate da produttori e sul mercato) è aumentata solo del 3,1% raggiungendo i circa 40,6 miliardi rispetto ai 39,4 del 2013: la voce comprende 7,56 miliardi per assistenza farmaceutica convenzionata, 6,7 miliardi per assistenza medico generica, 26,33 miliardi per prestazioni sociali in natura di tipo ospedaliera, specialistica, riabilitativa, integrativa e altra assistenza (psichiatria, cure termali, lungodegenza) acquistate da operatori privati accreditati. L’unico vero incremento pari al 22,2% lo si registra per le spese per consumi intermedi, in particolare per i farmaci e gli emoderivati, che pesano per il 32% e assorbono quasi totalmente l’incremento mentre crescono meno i dispositivi medici che pesano per il 18% e le manutenzioni, gli appalti e il godimento di beni di terzi (affitti).

La spesa per il personale che nel periodo è aumentata del 3,12% ha ricominciato a salire dal 2018, dopo una riduzione di oltre 43.000 dipendenti rispetto al 2004, determinata però non da un taglio dell’assistenza, ma da un orientamento a privilegiare la sanità ospedaliera rispetto a quella territoriale.

OSPEDALI I numeri: il personale degli ospedali passa da 8,4 unità per mille giornate di degenza nel 2004 a 10,7 nel 2017; sul territorio si va invece da 3,2 unità ogni mille abitanti del 2004 al 2,7 del 2017. L’efficienza dell’assistenza ospedaliera è aumentata anche se al prezzo, drammaticamente evidenziato dal Covid-19 del taglio dei posti letto e della soppressione di piccoli ospedali nei territori. Scelta corretta dal punto di vista dell’efficienza economica e soprattutto della specializzazione sanitaria, ma che ha fortemente diminuito la sanità territoriale e l’assistenza alla popolazione anziana.

L’emergenza Covid ha dimostrato l’esigenza di investire sulle strutture territoriali per la prevenzione e il post-ricovero nonché di ripensare e rafforzare ruolo e funzioni dei medici di base, oggi costretti a fare sempre più gli impiegati e sempre meno i medici di famiglia e gravati in media da più di 1.500 pazienti a testa il che impedisce materialmente una efficace assistenza e fa si che tutte le emergenze si scarichino sui pronto soccorsi e ospedali.

Se però si vuole spendere di più per la Sanità e già lo si sta facendo soprattutto con assunzioni di personale occorre (oltre a prendere i finanziamenti agevolati del Mes) fare qualche considerazione.

WELFARE Nel 2018 il welfare nel suo complesso è costato 462,114 miliardi, che vengono finanziati dai contributi sociali, sufficienti a pagare le pensioni previdenziali, gli ammortizzatori sociali e le prestazioni Inail mentre per pagare tutte le pensioni assistenziali, la sanità e l’assistenza sociale a famiglie e individui occorre attingere a tutte le imposte dirette (245 miliardi) per cui per finanziare il resto della spesa pubblica (istruzione, giustizia, infrastrutture, stipendi ecc.) rimangono le sole imposte indirette, accise, diritti, entrate da lotta all’evasione e imposte minori; essendo ancora insufficiente si fa ricorso a nuovo debito.

In tempi di pandemia in cui il debito pubblico aumenta a livelli insostenibili, occorrono scelte serie e buona organizzazione a partire da una vera riforma della sanità che in alcune regioni si è dimostrata insufficiente. Ben vengano nuove assunzioni nel sistema sanitario considerando i mutamenti nella struttura della famiglia sempre più mononucleare e l’invecchiamento della popolazione, ma questo deve avvenire non con nuove e folli tasse come la patrimoniale ma efficientando la spesa pubblica, riducendo i centri decisionali e scegliendo le persone per merito non per appartenenza politica.

*Centro studi Itinerari previdenziali