Carmelo Palma/ Buoni a nulla capaci di tutto

Sentire Fico, Di Maio, Crimi e gli altri ex gerarchi minori e maggiori dei Vaffa-Day invocare il «rispetto del Parlamento» e la «responsabilità istituzionale» delle opposizioni conferma che solo gli stupidi non cambiano idea, ma solo i mascalzoni riescono a farlo rivendicando la coerenza della contraddizione e l’equivalenza tra il volto e la maschera. Il totalitarismo, del resto, non è solo il regime della violenza, ma in primo luogo quello della menzogna come unica e necessaria forma di verità politica.

Non c’è dunque da stupirsi che i banditori dell’odio e dell’invidia sociale contro la Casta, sbarcati nelle disprezzate istituzioni, oggi si votino a quell’inconfondibile qualunquismo predicatorio e moralistico, che dovrebbe rinnegare la vecchia politica e ne diventa invece una parodia grottesca e sinistra.

Il fatto è che non c’è nessuna differenza tra i Fico, Di Maio, Bonafede e Crimi che facevano i quadrumviri delle marce su Roma, in cui Beppe Grillo intimava ai deputati e senatori di uscire con le mani alzate e di arrendersi per avere salva la vita, e quelli che oggi recitano fervorini costituzionalistici, fanno i cerimonieri politici e ministeriali del new deal demo-populista e pensano di essere lo Stato per il solo fatto di averlo occupato con la loro corte di famiglia.

Non credendo a nulla, non possono cambiare idea, ma solo parte in commedia e tutte sono fungibili, purché remunerative e personalmente soddisfacenti. Un movimento politico costruito unicamente sulla frustrazione individuale e collettiva e sulle passioni tristi di una società declinante e smarrita può convertirsi a qualunque potere – da quello dello sfascio, a quello dell’occupazione – avendo orrore solo dell’impotenza, cioè di quel vuoto che lo ha generato e in cui qualunque potente teme di riprecipitare.
In questo anche la vanità degli esclusi, il fanatismo dei Di Battista, dei Casaleggio junior e dei sostenitori del movimento delle origini sembra confermare che la matrice politica e psicologica dell’assalto al Palazzo, era in questo bisogno di esserci e di contare, di lasciare un segno, fosse di distruzione come di imperio.

Chi ha un’idea così nichilistica e personale del potere si convince anche facilmente che l’abito faccia il monaco e che basti biascicare le sacre massime sul Parlamento e mettere la cravatta e il doppiopetto per diventare uomini delle istituzioni – non essendo, per loro, le istituzioni nulla, fuorché la faccia di chi le occupa con il giusto abito di scena.

L’antipolitica da sempre e in tutte le sue forme pre-totalitarie e totalitarie non è la rivolta disperata dei senza potere, ma è la manifestazione politicamente pandemica dell’invidia sociale del potere. È una forma di ideologia, cioè di falsa coscienza, proprio perché è il desiderio e non la denuncia di quell’arbitrio assoluto e di quella forza politica, di cui ci si sente vittime e si vorrebbe essere padroni, non dominati, ma dominatori.

Lo zoo umano grillino distribuito lungo tutta la linea di comando dello Stato, anche nelle sue manifestazioni più ridicole e miserabili (massimamente nell’ostentazione di titoli e onestà, nei curriculum gonfiati e nelle creste su diarie e contributi), è oggi a tutti gli effetti il potere, ma ne rappresenta anche la catastrofe antropologica, che gli alleati per così dire democratici continuano ipocritamente a relativizzare, con un fare sempre più esplicitamente negazionista.

E il Presidente Conte non è l’upgrade di tutto questo, ma solo la versione azzimata e con pochette di questa rovina, con un sovrappiù di sussiego professorale e di curialità burocratica, che lo rende perfetto per il tran tran dei palazzi, che i suoi sostenitori dovevano sfasciare e in cui bivaccano e bivaccheranno ottimamente, fino a che il ciclo di vita di questo esperimento populista non sarà concluso e magari sostituito da uno analogo e pure peggiore. (da LINKIESTA)