La fortuna nella pallina che (non) supera il nastro

Non so se avete visto il film “Sliding doors” del 1998. L’idea iniziale era del polacco Kieslowski e riguarda il destino. La storia è quella di Helen che potrebbe avere due vite diverse se correndo a prendere la metropolitana riuscisse a salire o non salire sul treno. A tutti noi una porta si è aperta oppure no e il corso della nostra vita è cambiato, in meglio o peggio, a seconda di un incontro, un caso fortuito, una combinazione, una scelta.

Anche Woody Allen crede molto nel destino e nel suo film londinese “Match Point” (2005), molto bello, fa dire ad una voce:

«Chi disse “preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte, in una partita, la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro; con un po’ di fortuna, va oltre e allora si vince. Oppure no… e allora si perde».

Chi segue lo sport sa benissimo che la fortuna conta molto. L’allenatore della nostra nazionale, Mancini (come anche Mourinho o Sacchi)  è una sorta di Gastone, il fortunatissimo cugino di Paperino. Basti pensare che nel 2012 arrivò all’ultima giornata di Premier League e il Manchester City, la squadra che allenava, battendo il QPR (Queens Park Rangers), poteva laurearsi campione d’Inghilterra. L’avversario del team diretto da Mancini doveva assolutamente salvarsi e in effetti fece di tutto per giocare la partita della vita. Alla fine dei novanta minuti il QPR vinceva 2 a 1 ed era salvo, Mancini era lo sconfitto e la sua carriera avrebbe subìto uno smacco inesorabile. Cominciarono i minuti di recupero e in 2 minuti Džeko al 92′ e Agüero al 94′ riuscirono a strappare una vittoria quasi insperata che è valso il terzo scudetto per il Manchester City.

Ogni essere umano può raccontare storie simili. Io ripenso sempre ad un dialogo che feci con un mio caro cugino quando avevo già messo su famiglia e facevo il preside. Un giorno chiacchierando gli dissi che fosse dipeso da me avrei voluto fare il giornalista, un lavoro, certo non l’unico, che in Italia si ottiene soltanto attraverso conoscenze. ” E perchè non me lo hai mai detto?” mi chiese mio cugino, spiegandomi che era diventato negli anni molto amico di uno dei più grandi direttori di giornali italiani, il quale ogni estate era il suo vicino di ombrellone ad Amalfi.