SCUOLA/G.A. Ferrari propone una soluzione inutile

Gian Arturo Ferrari (sul Corsera) descrive come meglio non si potrebbe la scuola italiana ma poi, in un impeto di generosità, passa ad una proposta che lascerebbe le cose come stanno.

Cominciamo dall’inizio. Come stanno le cose? Ferrari è chiarissimo. L’ultima indagine Pisa (Programme for International Student Asses-sment) promossa dall’Ocse — organizzazione che non può essere sospettata di particolare malanimo nei confronti dell’Italia — certifica, molto semplicemente, che noi siamo al di sotto della media dei Paesi Ocse. Ossia, in parole povere, che la nostra scuola non funziona. Ecco allora individuato il problema: si tratta di por rimedio a quella che Luca Ricolfi chiama «la distruzione della scuola» operata negli ultimi decenni. Siamo infatti diventati «un Paese che non studia, non legge e gioca», dove nel 2018 abbiamo speso nel solo gioco d’azzardo legale 107,3 miliardi di euro, ossia quanto l’insieme della spesa pubblica per la sanità. Ma soprattutto, ed è questo il punto, la scuola è venuta meno al suo compito principale, che è quello di trasmettere da una generazione all’altra il messaggio essenziale. Che lo studio, come il lavoro che deve fargli seguito, costa fatica e che la scuola è chiamata a costruire gerarchie di merito più giuste di quelle ereditate dall’ordinamento sociale.

Individuato il problema, si tratta di passare alla cura, al rimedio.

Per Ferrari la retribuzione dei nostri insegnanti nettamente inferiore a quella praticata nei Paesi europei con cui amiamo confrontarci (Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna) causa lo scarso prestigio sociale degli insegnanti medesimi, la cui identità specifica viene d’altra parte sempre più spesso diluita nella vasta, e politicamente corretta, galassia dei «lavoratori della scuola». Viceversa sono proprio loro, gli insegnanti, il fulcro della scuola e proprio a loro dovrebbero essere dedicate cure, attenzioni — e trattamenti — adeguati. Dopodiché, ma solo dopodiché, si potrebbe e dovrebbe introdurre il principio di valutazione della loro attività.

Il rimedio di Ferrari a ben vedere non è un rimedio perchè pospone i termini. Prima aumenta lo stipendio a tutti come se tutti gli insegnanti fossero uguali e poi li valuta. Si dovrebbe fare esattamente il contrario, di modo che si creerebbe una progressione di carriera e stipendi diversi connoterebbero approcci diversi alla professione. Vuoi fare poco, cioè svolgere i tuoi compiti di insegnamento e basta, allora continui ad avere posto fisso ma stipendio basso. Invece i professori che in ogni scuola tirano la carretta, senza doppio lavoro, troppe assenze e con qualità dell’insegnamento (si evince dalle richieste di iscrizione per andare solo in quella classe dove insegna il prof. Y) dovrebbero essere pagati ben di più (almeno 500 euro di più). Questa classificazione che distingue i prof creerebbe un effetto benefico perchè indurrebbe gli scansafatiche a dover per forza cambiare le loro vecchie abitudini qualora intendano guadagnare di più.

Viceversa dare lo stesso aumento a tutti lascerebbe le cose come stanno. Gli stipendi bassi sono il corrispettivo di un lavoro fisso e pubblico. Infatti con la pandemia gli insegnanti non hanno perso un euro al contrario di gente che è stata mandata a casa in cassa integrazione. E’ un principio economico. Non puoi aumentare la produttività anticipando i premi. Guardate il “premio Nutella” di cui parlano i giornali in questi giorni. L’imprenditore Ferrero con la busta di ottobre paga il premio di risultato: 2.100 euro lordi in media a ognuno dei circa 6 mila dipendenti degli stabilimenti italiani. E’ chiaro, caro Ferrari, prima i risultati e poi il premio.  Soltanto in Italia i veri gestori della scuola italiana, i sindacati, hanno imposto un principio ( da comunismo realizzato) che può essere spiegato con un esempio calcistico: Cristiano Ronaldo in una squadra deve essere pagato quando Bernardeschi. Non funziona così, il mondo, ammesso e non concesso che il principio fosse giusto.

NB= La scuola italiana otterrebbe risultati migliori con la digitalizzazione? No, e allora perchè per il Recovery Fund il Miur chiede 2,7 miliardi allo scopo e un altro miliardo per “Ecosistema delle competenze digitali nella scuola”? (v. Boeri e Perotti su Repubblica)