Termovalorizzatori. Cioè, in Danimarca sono scemi?


Il maxiprogetto Copenhill nella capitale danese

Dai rifiuti alla produzione di energia fino al divertimento e allo sport. Oltre 9mila metri quadrati aperti tutto l’anno per la pista da sci Amager-Bakke, appena inaugurata in Danimarca, realizzata sul lungomare industriale di Amager, sito già ben noto per gli sport estremi. La curiosità è che quello battezzato sull’isolona a Sud di Copenhagen è un incredibile esempio di simbiosi industriale, visto che sorge sopra un termovalorizzatore cittadino perfettamente operativo. Il nuovo impianto di Amager Bakke-CopenHill è infatti costato 670 milioni di dollari e da due anni ha sostituito il vecchio termovalorizzatore mangia-rifiuti: brucia 400mila tonnellate di rifiuti all’anno ma dalla ciminiera, stando a quanto assicurano le autorità, esce solo vapore acqueo visto che i filtri di nuove generazione sono in grado di trattenere tutte le polveri e i fumi nocivi. Nulla da temere.
 
Sul tetto di questo nuovo impianto – situato in realtà a una quarantina di minuti dal centro della capitale danese – è stato dunque ricavato un pendio lungo 200 metri, che scende dall’altezza di 90, con un grande tornante e una pendenza che arriva al 45%: è lì che è nata la pista da sci larga 60 metri in grado di ospitare 200 persone in contemporanea. Non c’è la neve, ovviamente, ma un veloce fondo di plastica italiano, fornito dalla Neveplast di Mebro, vicino Bergamo. Non mancano ascensori trasparenti e tappeti mobili per risalire fino alla “cima” e concedersi un’altra discesa metropolitana sulla creatura progettata dallo studio Big, Bjarke Ingels Group, insieme ad altre sigle (Sla, Akt, Lüchinger+Meyer, Moe e Rambøll) per una gara varata nel 2011. Il percorso è stato in effetti lungo, dovendo necessariamente seguire i tempi di costruzione dell’innovativo termovalorizzatore da 41mila metri quadri, anche se aveva parzialmente aperto ai visitatori già da un paio di anni.
Pista da sci olimpionica, parco freestyle o pista da slalom a tempo: tutto questo sulla sommità di un impianto attivo 24 ore su 24 nel quale i visitatori possono anche sbirciare, mentre si divertono, risalendo tramite i diversi impianti. E per chi non scia sono disponibili un bar sul tetto con vista sul porto, una palestra per fare crossfit, una parete per l’arrampicata fra le più alte del mondo (85 metri) o una piattaforma d’osservazione, la più alta della città, per scattare qualche bella foto e scendere tramite il sentiero di 490 metri per l’hiking (e gli immancabili pic-nic) progettato dallo studio Sla.

Mentre si fa sport o ci si rilassa, forni e turbine convertono oltre 440mila tonnellate di rifiuti all’anno in energia pulita che può fornire elettricità a 150mila abitazioni. Non mancano inoltre gli spazi per tour educativi, conferenze e ricerca accademica. Un vero polo multifunzionale sui generis anche perché è la stessa struttura – tappezzata di pannelli d’alluminio e vetro – a essere ecosostenibile, in piena filosofia che vuole fare di Copenhagen la prima città “carbon neutral” entro il 2025. Per esempio, il tetto da 10mila metri quadri assorbe calore filtrando inquinanti e particolato e minimizzando il deflusso delle acque piovane. Ultimo ma non ultimo, il parcheggio può essere riconvertito a pista di pattinaggio.

“Come impianto energetico, CopenHill è talmente pulito che siamo stati in grado di convertire i suoi edifici nella pietra angolare della vita sociale della città: la sua facciata si può scalare, sul tetto ci si va a piedi e sui pendii si può sciare – ha spiegato lo studio di progettazione – un chiarissimo esempio di edonistica sostenibilità, cioè del fatto che una città sostenibile non è solo migliore per l’ambiente ma anche più divertente e godibile per i suoi cittadini”.

13 Regioni su 20 sulle discariche sono a fine corsa

La Lombardia è la regione italiana che conferisce meno rifiuti in discarica (circa il 5,8%), ma la performance nazionale ci allontana molto dagli obiettivi europei del pacchetto sull’Economia circolare che impone al 2035 un tasso di conferimento in discarica inferiore al 10%: solo cinque regioni al momento soddisfano il target. Se si guarda alla raccolta differenziata, come emerge dallo studio condotto da The European House — Ambrosetti in collaborazione con A2A sul ruolo delle multiutility nella ripresa del Paese, l’Italia invece risulta in linea con la media dell’area euro per quanto riguarda il tasso di riciclo dei rifiuti urbani pari al 49,8%, con Veneto, Trentino-Alto Adige e Lombardia che superano la soglia target del 70%, rispettivamente con il 73,8%, il 72,5% e il 70,7%. Tuttavia ci sono ancora realtà come la Sicilia e il Molise che utilizzano le discariche per smaltire più della metà dei rifiuti urbani generati sul territorio regionale. È evidente che servono impianti lungo tutta la Penisola per garantire il massimo livello di sostenibilità nel trattamento dei rifiuti in linea con le regole Ue: secondo lo studio «13 Regioni su 20 esauriranno la propria capacità di smaltimento in discarica entro il 2020 comportando un rischio di mancata allocazione dei rifiuti». Ma i lunghi iter autorizzativi uniti al fenomeno Nimby (Not in my backyard, non nel mio giardino) rendono complicata la realizzazione di nuovi impianti. Il Recovery Fund, che destina il 30% del totale agli investimenti green, potrebbe essere l’occasione per una svolta. La raccolta differenziata e la massimizzazione del riciclo – spiegano gli autori del report – devono essere la priorità a cui tendere; tutto ciò che non è recupero di materia deve essere quantomeno recuperato come energia per minimizzare il conferimento in discarica. L’Italia ha un tasso di recupero energetico pari al 19,1% e rimane indietro rispetto ai benchmark europei (Finlandia, Svezia e Danimarca) che registrano un valore medio del 53,1%. Malissimo infine il ciclo idrico: l’Italia ha una rete infrastrutturale obsoleta (60% delle infrastrutture ha più di 30 anni e il 25% più di 50 anni) e la metà dell’acqua distribuita viene dispersa. Il gap impiantistico caratterizza anche la capacità di depurare e trattare le acque reflue; l’Italia, infatti, è soggetta a 4 procedimenti di infrazione, con 2 sentenze confermate, che si stima costeranno non meno di 500 milioni di Euro fino al 2024.