SCUOLA/ Piena di santi che non fanno miracoli

Nonostante legga di tutto di più, la scuola italiana a me sembra non sia raccontata nella sua realtà. La realtà invece viene rivelata dai dettagli. Ho potuto tempo fa leggere  i criteri per l’attribuzione del bonus che ogni scuola deve predisporre. Ho letto pertanto anche documenti dettagliatissimi, più adatti a cattedratici di matematica che a comuni mortali. Se per dare 150 euro devi ricorrere ad un algoritmo, la cosa mi preoccupa. L’intento è salvare la forma. Oggettività, suvvia. Per me l’unico criterio valido e duro per attribuire il bonus è: chiedetelo ai muri. Infatti sono convinto che finanche i muri di ogni scuola sappiano chi sono i docenti “bravi e meritevoli”. Ogni scuola è come ogni ospedale, ogni ufficio, ogni fabbrica. Ognuno lavora facendosi i fatti propri. Fa il suo dovere. Tra tutti quelli che fanno il loro dovere, chi sono i bravi? I muri lo sanno. Quelli che danno una mano (non due) quando c’è una emergenza. Per il tran tran siamo bravi tutti. Siamo tutti santi solo che non facciamo miracoli quando ci si chiedono. Lo abbiamo visto con i medici e gli infermieri  in pandemia. I bravi hanno dato la vita, i menefreghisti si sono messi in malattia il primo marzo. Faccio un altro esempio per dimostrarlo. C’è un progetto di 40 ore e nessuno nella scuola lo vuole fare. Sapete perchè? Perchè per certi progetti ogni ora è pagata 10 euro e con tutti gli adempimenti formali preliminari e conclusivi, ulteriori alle lezioni, nessuno ha interesse per farlo. Alla fine dopo tanti sforzi si riesce ad affibbiare il progetto al volenteroso prof. Caio. Bene, quando c’è da attribuire il bonus, sapete cosa diranno tutti i menefreghisti interpellati che non hanno voluto fare il progetto? Il bonus non spetta a Caio in quanto lui per il progetto è già stato pagato. Una miseria, ma è stato pagato. Ecco perchè dico che in ogni scuola il criterio dovrebbe essere di chiedere ai muri il nome di chi merita il bonus. I muri ascoltano, muti, insensibili, registrano e si ricordano: ma come, se solo Caio alla fine ha accettato di fare quel progetto (altrimenti restituivate i fondi ricevuti), proprio a Caio non date il bonus? Ma è vergognoso. Insomma, che cosa voglio intendere? Niente, che nelle scuole è sempre la forma ad imporsi, la sostanza non conta nulla. Ed i presidi che hanno questa cultura formale semplicemente considerano santi quelli che non fanno miracoli. Mi spiego. Se un dirigente (vale per tutti gli uffici pubblici) tra sè e la realtà frappone la forma (come un divisore che funga da distanziatore) e si giustifica pure (che ci posso fare, devo rispettare la forma) egli è l’inetto descritto da Svevo. E’ “la tipologia psicologica dell’individuo incapace di relazionarsi con gli altri e di scorgere, al di fuori di se stesso, la fonte della propria inettitudine. Così è sempre pronto ad incolpare gli altri o le circostanze esterne per il proprio insuccesso”.