COME SPENDERE SOLDI CHE NON SI HANNO

(Alessandro De Nicola, da Repubblica) Il grande fermento che pervade la politica italiana, intenta a decidere come spendere soldi che non ha e che dovrebbero un dì arrivar, ci porta alla memoria, nel centenario della nascita di Alberto Sordi, il film Arrivano i dollari!. La trama è classica: un emigrato diventato ricco muore e lascia in eredità i suoi averi a cinque nipoti, tra cui Albertone, nella parte di un conte (absit iniuria verbis) vanaglorioso, che però, a insindacabile giudizio della bella vedova, dovranno meritarseli. Ecco che l’avaro dovrà mostrarsi generoso; l’ossessivamente geloso, tollerante; il dongiovanni, morigerato; lo scansafatiche, alacre e il megalomane temperato. Classica commedia degli equivoci che assomiglia molto ai dibattiti politici in corso.

La nostra Pubblica amministrazione è incapace di investire i fondi a disposizione in quanto lenta e inefficiente, come ha puntualmente registrato la Corte dei Conti Europea e ogni anno conferma la Corte dei Conti Italiana. Le opere pubbliche approvate e bloccate valgono 55,5 miliardi di euro di cui 48 miliardi già stanziati. Il costo dei nostri investimenti pubblici è molto superiore rispetto agli altri Paesi europei (e non di poco: un km di rete ferroviaria da noi costa 28 milioni contro i 12-15 di Spagna, Francia e Germania), sfonda sempre le previsioni e le analisi costi-benefici sono quasi assenti.

Eppure, i ministri fibrillano e parlano di fantastiliardi che serviranno a dotare l’Italia di Alta velocità da Campione d’Italia a Caltanissetta e di altre mirabolanti infrastrutture. La base di tali ragionamenti è fornita dal noto “moltiplicatore keynesiano”, teoria secondo la quale 1 euro di investimenti pubblici genera più di un euro di Pil aggiuntivo grazie all’effetto, appunto, moltiplicatore. Lo Stato paga 1 euro ai fornitori di materiali e ai salariati, i quali compreranno ulteriore materiale e beni di consumo da altri venditori i quali a loro volta spenderanno e così si compie il miracolo. Keynes, tra serio e faceto, scrisse che pagare operai per scavare buche e poi riempirle avrebbe avuto effetti positivi.
Orbene, le ottimistiche aspettative generate da questo uovo di Colombo sono state vivacemente contestate da alcuni e suffragate da altri e i modelli o le ricerche empiriche sul tema sono numerose.

Un primo risultato delle ricerche è che il deficit (e il debito) pubblico ulteriore causato dalle nuove spese per investimenti non si autofinanzia grazie alle entrate causate dall’aumento del Pil, quindi il bilancio pubblico ne soffre. In un Paese ad alto debito come l’Italia, che non potrà contare in eterno sugli acquisti della Bce, bisogna tenerne conto.

Un secondo caveat consiste nella diminuzione dell’investimento privato che viene “spiazzato” dalle spese pubbliche. Ad esempio, un recente studio (Boehm, 2019) sulle politiche espansionistiche Usa post Grande recessione del 2008, ha rilevato che l’effetto moltiplicatore degli investimenti è stato nullo e in più essi hanno depresso quelli privati. Anche ammesso che gli investimenti pubblici portino a qualche risultato, se sono meno produttivi di quelli privati, sottraggono risorse in modo inefficiente e – come abbiamo visto – l’Italia è particolarmente goffa nello spendere fondi pubblici (Visco, 2018).

Fmi e Banca d’Italia, poi, sono d’accordo che il moltiplicatore si realizza solo se gli impieghi sono efficienti, mentre gli studi sul nostro Paese dimostrano che l’effetto dei nostri investimenti sul Pil è prossimo allo zero (De Jong, 2017; Banca d’Italia, 2018). Infine, la produttività nel lungo periodo non migliora grazie agli stimoli fiscali se nel frattempo non si riformano profondamente i fattori che assicurano lo sviluppo: burocrazia e giustizia civile (vere spine nel fianco del Belpaese), scuola e università, mercato del lavoro e concorrenza.

Insomma, invece che costruire le nuove piramidi (e comunque sottoponendo i progetti ad analisi costi-benefici), sarà bene che – potendo spendere soldi – il governo privilegi piani come l’Industria 4.0, stimolando le imprese (che non hanno elettori e clientele, ma azionisti cui rispondere) a innovare e investire e metta mano a quelle riforme cosiddette a costo zero sulle quali finora ha prodotto zero, il che non è la stessa cosa.