QUANDO NON SI CAPISCE PIU’ LA DIFFERENZA TRA COLAO E QUESTI MIGNI MOGNI

Vittorio Colao (1961) si è laureato alla Bocconi e  ha ottenuto ad Harward un Master in Business Administration. Ha cominciato con la banca Morgan Stanley a Londra, poi alla McKinsey. Nel 1999 è stato nominato amministratore delegato di Vodafone Omnitel (divisione italiana). Dal 2001 sino al 2018 ha lavorato a Vodafone, tranne due anni dal 2004 a Milano con Rcs, di cui è diventato ad e che ha fatto diventare una delle aziende di tlc più titolate al mondo. Ora non c’è al governo italiano uno solo dei ministri che nella sua vita abbia fatto un decimo di quello che ha fatto Colao. Nè tantomeno Giuseppi il quale si è preso pure la briga di taroccare il suo cv. Colao, invece di essere ringraziato, adesso viene pure sbeffeggiato per il suo prodotto di consulente. Ma questa è l’Italia, un paese pieno di scienziati, manager, professori che tutto il mondo ci invidia e che noi teniamo ai margini perchè ci facciamo governare da migni mogni, politicanti se ci va bene, faccendieri in genere.

Sin dal governo con Salvini ho sempre scritto che lo schiavo di Casalino è un opportunista piacione e narcisista, uno di quegli italiani che Flaiano avrebbe infilzato con una delle sue perle tipo “l’insuccesso gli ha dato alla testa”. Passato come qualsiasi impostore e senza battere ciglio da un alleato ad un altro si ritrova ancora in sella (amato solo da Travaglio e dal Manifesto) utilizzando il solito pd pronto a calarsi le braghe con la scusa dei barbari di turno alle porte (oggi Salvini dopo che per 20 anni è stato Berlusconi). Oggi l’unica cosa che tutti ripetono è la seguente: non c’è alternativa a Giuseppi. In realtà è uno stallo politico come tale molto pericoloso. La forza maggioritaria in parlamento, il M5s, spaccato in mille pezzi e quindi alle prese con una guerra intestina dall’esito incerto (Grillo vs Casaleggio), lo tiene lì, nel mezzo di una situazione economica che nessuno sa come affrontare se non a chiacchiere. L’unica cosa alla quale sanno pensare sono i soldi a debito che possono spendere per accontentare questo e quello. Questi soldi che Gentiloni e Gualtieri stanno tentando di procurarci li prendono come una manna dal cielo che possono utilizzare per provare a vincere le elezioni che verranno. Il fatto però è che quei soldi non arrivano “a terra”, come dice Gualtieri, perchè la pubblica amministrazione italiana va smontata interamente mentre i pm (unico potere dominante) hanno già cominciato a vedere a chi possono arrestare per non aver immaginato la pandemia. Quando a casa tua vedi fumo e non ti rendi conto che è scoppiato un incendio, quando cioè il pericolo non lo avverti, continui come se niente fosse la tua vita di sempre, fino a quando è troppo tardi. Nessuno si accorge della bomba sociale che sta arrivando? Le proposte Colao sono generiche e non servono a nulla, ce lo dice un governo che ha sfornato un decreto Rilancio con 206 articoli e bisognoso di 98 decreti attuativi, non so se mi spiego. Questi migni mogni incapaci ci governano sulla base del noto principio “uno vale l’altro”, ecco la nostra tragedia. Tutti dicono: non c’è alternativa. Se avvertissero il pericolo e vedessero il fumo lo direbbero?

(ROBERTO PEROTTI SUL PIANO COLAO) (da Repubblica) Il piano Colao è un documento per molti versi impressionante. Per la prima volta si mettono nero su bianco una serie di proposte concrete e organiche per rivoltare l’Italia come un calzino. Ora il pallino passa al premier Conte. Non sarà facile distillare le priorità
tra le migliaia di proposte, ed evitare i rischi insiti nell’attuazione. Eccone alcuni.

Primo, le difficoltà non saranno politiche nel senso di “partitiche”, perché in gran parte le proposte credo siano condivisibili da quasi tutti. Il problema sarà la resistenza di alcune categorie che si opporranno alla modernizzazione dei rispettivi settori.

La storia italiana è piena di politici bravissimi negli intrighi politici, ma totalmente inetti nell’affrontare la burocrazia ministeriale o le associazioni di categoria. Se questo avvenisse anche nella fase di attuazione del piano Colao sarebbe un disastro. Per evitarlo, è necessario che i politici, e Conte in testa, facciano quello che quasi mai hanno fatto nella storia italiana: impegnarsi nei dettagli dell’attuazione dei provvedimenti.

Secondo, anche se il piano Colao è stato concepito come un piano organico, inevitabilmente, data la sua vastità e il poco tempo a disposizione, in parecchie parti va riempito di contenuti specifici. Il rischio è di ottenere un risultato paradossale: una proliferazione legislativa incontrollata che si concentri sugli aspetti formali. Pensiamo al decreto rilancio, fatto da centinaia di pagine e di rimandi a decine di norme, e moltiplichiamolo per cento. Anche in questo caso ci vorrà un occhio vigile e attenzione al dettaglio da parte dei politici per imporsi agli apparati ministeriali.

Terzo: anche se non se ne parla mai, ci sono ministeri e ministeri. Non tutti i ministeri hanno la capacità di attuare le riforme di loro competenza del piano Colao. Nella mia limitata esperienza le differenze di capacità delle persone e degli apparati sono abbastanza evidenti. Un premier che si rispetti deve capire quando un ministro o un ministero non sono in grado di produrre riforme concrete (al di là del legalese di cui tutti sono espertissimi), e agire di conseguenza, senza mettere la testa sotto la sabbia. La riforma più difficile del governo Renzi, il Jobs Act, potè essere attuata perché nella fase iniziale il ministero del Lavoro fu di fatto esautorato.

Quarto: la commissione Colao non aveva i compiti di una spending review. Non dovendo occuparsi di costi, il piano inevitabilmente cade nella tentazione di aggiungere soltanto senza mai togliere, anche quando disboscare farebbe bene.

E questo può mandare il messaggio sbagliato ai politici. Per esempio, nel capitolo sul Turismo (il più debole, insieme a quello su Famiglia e Welfare) c’è l’immancabile Piano strategico per il Turismo, per individuare le “azioni chiave per il rilancio” del settore, e la new entry del Piano comunicazione Turismo Italia, per “sviluppare proattivamente contenuti promozionali”. Il rischio è che siano l’ennesima occasione per sviluppare una burocrazia già elefantiaca invece di riformarla. Per esempio, il piano propone di aumentare il budget per il marketing del turismo, quando il problema storico noto a tutti è piuttosto la leggendaria inefficienza delle agenzie che se ne dovrebbero occupare.

Analogamente, la parte sul welfare è una serie lunghissima di proposte, esortazioni e raccomandazioni forse condivisibili ma senza che ci si preoccupi di come innestarle su un welfare già abbastanza caotico così come è ora.

Ma soprattutto in questa parte si cade nelle proposte generiche (come l’ennesima cabina di regia, questa volta di “Benessere Italia”) e nel vizio italiano di affidarsi alle espressioni roboanti: “Trasformazione dei costi sociali e sanitari in investimenti produttivi di salute e sviluppo locale”, “il beneficiario del progetto da oggetto di intervento deciso da altri diventa soggetto della progettazione, a cui partecipa di diritto perché riguarda la sua vita”. Per non parlare della proposta di controllare l’uso nei social di “termini e locuzioni discriminatori di genere”. Niente di tutto questo sarà d’aiuto al politico.

La mancanza di preoccupazione con i costi, e i rischi che ne conseguono, emergono anche in tante altre parti del piano. In più punti si esorta a progettare e realizzare le grandi opere (inclusa l’alta velocità per sviluppare il turismo …), senza chiedersi se veramente siano tutte utili o non, in alcuni casi, addirittura dannose. E non ce la si può cavare semplicemente con la raccomandazione di “subordinare il ricorso a nuovo consumo di suolo alla preliminare valutazione di alternative”. Il piano è pieno anche di incentivi, esenzioni, trattamenti di favore per questa o quella attività. Tutto apparentemente condivisibile, ma l’Italia ha già il record mondiale di “spese fiscali”, i trattamenti di favore per questa o quella categoria, cui nessuno è mai riuscito a mettere mano.

Con tutto ciò, anche se il piano Colao, come tutte le produzioni umane, non è perfetto, è un contributo enormemente utile al dibattito. Sta al premier farlo fruttare ed evitare il rischio che si traduca in una lista della spesa da cui scegliere più o meno a caso qualche proposta, delegandone l’attuazione a questo o quel dirigente ministeriale.