LAMEZIA/CHE BARBA CHE NOIA QUESTA DISCARICA

Lamezia è questa e nessuno ci può far nulla. Non apprende mai dagli errori fatti e vive fuori dal tempo, l’orologio si è fermato e anche nel 2020 è come se fossimo ancora nel 1970, con l’ideologia che annebbia pensieri e parole.
Ideologia significa idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche. Ci manca cioè quello che, secondo Umberto Eco (rintracciato da G. Crapis) è “
il cuore vero dell’essere inglese, il senso pratico, quel vedere le cose dal punto di vista del loro rendimento alla luce del buon senso, senza chiedersi se esso contrasti o meno con determinati principi”. Quando anni fa Gianni Speranza tentò, in località Stretto, di ampliare la discarica chi intervenne per bloccarlo? L’imprenditore vinicolo (come oggi sulla Santelli) e poi a ruota tutti gli ecologisti. Anno 2009. Nientepopodimeno che su “Repubblica.it” ecco cosa scrivevano:

Antonello Caporale (meno male che poi è traslocato al “Fatto”) La regione non ha saputo fare da sé ed è appunto commissariata. A Catanzaro il commissario è il prefetto Goffredo Sottile. Sa che tra qualche mese l’immondizia rimarrà in strada e impone ai sindaci di indicare un sito. Il primo cittadino di Lametia Terme gli offre un’area geologicamente idonea: dieci ettari dell’azienda Statti che produce con successo un vino di qualità. L’idea è così pazza che presto il sindaco, Gianni Speranza, viene sbertucciato, contestato, ridicolizzato. Lametia Terme è una citta disperata e il sindaco (che di nome fa proprio Speranza) immagina come male minore l’abbattimento di dieci ettari di vigneti. Sbaglia, naturalmente. Ma chi dovrebbe aiutarlo a correggere l’errore lascia che tutto scorra: “Vogliono che la mia città raccolga i rifiuti che giungono anche da Cosenza e da Vibo Valentia. E io mi trovo tra l’incudine e il martello: o ammazzo un’azienda o annullo l’indicazione sapendo che a gennaio riempio di rifiuti la mia città. O assassino il vino oppure l’ambiente. Nessuno che mi dia una mano, che faccia una proposta, che senta questa responsabilità che oggi grava su di me soltanto come una questione collettiva. I rifiuti sono di tutti. Di tutti. E comunque io sono pronto al referendum: decidano i cittadini”. Il quesito andrebbe alla radice della nuova questione meridionale: ritrovare il senno perduto.

In realtà era successo che “…che l’ipotizzato rapido esaurimento dell’impianto ha visto la Multiservizi, sempre su delega dell’Ufficio del Commissario, predisporre con largo anticipo un ulteriore ampliamento per circa 600 mila metri cubi con esproprio di una parte di terreno circostante trasformato da seminativo a vigneto negli anni 2002, 2007 e poi nel 2008, quindi, quando già la discarica era in attività“. Niente da fare, destra, sinistra uniti nel NO e Speranza si ritirò in buon ordine, così siamo arrivati alla situazione di oggi, dopo aver fatto fallire la Multiservizi, costretta a pagare per conferire i rifiuti mentre Pianopoli ha avuto molta più lungimiranza di questa nostra città baricentro della Calabria. Per rinfrescare la memoria più recente sull’emergenza rifiuti con Oliverio basta cercare poi sul Lametino un articolo con foto (9/9/2019) “Lamezia è allarme rifiuti…” così si vede che il tempo passa e giriamo sempre in tondo. E veniamo ad oggi. Dopo Italo Reale oggi  l’amministratore unico della Società Lamezia Multiservizi, Eliseo Bevivino, interviene in merito alla polemica in atto sulla costruzione della terza vasca della discarica in località “Stretto”. Essendo Bevivino il nostro Burioni, cioè uno dei pochi che sa di cosa parla, mi fido di lui. Per il resto abbiamo a che fare con il solito NIMBY (Non nel mio cortile), la protesta da parte dei membri di una comunità locale contro opere di interesse pubblico sul proprio territorio. Le associazioni lametine protestano sempre, e sempre per irrinunciabili questioni di principio. Se ricordate le manifestazioni contro Noto per il Borgo Antico, vedrete che oggi sulla discarica si ripropone l’identico schema, in un mix dove buona e mala fede, impostori e cavalli di parata, ingenui e maligni convivono per portare l’acqua al mulino di Qualcuno. Sui rifiuti poi i partiti politici italiani si dichiarano favorevoli o contrari a discariche o altri impianti, a seconda se sono al governo o all’opposizione. “Rifiuti zero” è un sogno ma nella realtà, spiegano quelli che queste cose studiano scrivendo libri ( su questo blog leggete ITALIA/RIFIUTI UNA SOLA SOLUZIONE) occorre che tutte le soluzioni vengano messe in campo. Tutte, nessuna esclusa. La raccolta differenziata con il riciclo, ma anche la discarica, l’inceneritore, il termovalorizzatore e via dicendo. Deja vu, che barba, che noia.

ANTONO MASSARUTTO (I rifiuti, Il Mulino) E’ difficile affrontare in pubblico certi argomenti senza che il dibattito prenda subito una piega polemica, buoni contro cattivi, chi non è con me è contro di me, Utopisti contro Retrogradi, Detentori della verità contro Mistificatori. Molti vedono con diffidenza la gestione industriale respingendola a prescindere, considerandola sinonimo di capitalismo selvaggio e brutale, e contrapponendo soluzioni più o meno miracolistiche, basate sul “piccolo è bello”, su utopie di società solidali e pacificate che chiudono il cerchio alla scala locale e così facendo si riconciliano col pianeta. Altri al contrario immaginano che tutto si possa risolvere con un Grande Bruciatore nel quale ogni scoria sparirà per sempre alla vista, dando la colpa ai “verdi” se questo non è stato ancora realizzato. A questo clima non giova sicuramente il fatto che le opzioni di trattamento dei rifiuti sono attività inquinanti, non più di moltissime attività industriali, a dire il vero, e anzi abbastanza trascurabili nel contesto di una moderna area urbana; ma tanto basta perchè intorno alla gestione dei rifiuti si scatenino ondate di panico collettivo, a volte strumentalizzate dai media, altre volte attizzate da chi ama sguazzare nel torbido, altre ancora brandite come croci da aspiranti salvatori dell’umanità.

(ANTONIO MASSARUTTO 12/6/2020 Corsera) Per me il problema è fino a che punto riciclare e quando cominciare ad incenerire. Per poter ottenere un materiale che abbia caratteristiche tali da poter essere rimesso sul mercato, devo sostenere costi tali — per raccoglierlo, separarlo, pulirlo, processarlo, ecc — che molte volte non ne vale la pena. A quel punto, il recupero energetico è il destino migliore. I Paesi europei più avanzati nell’azzeramento della discarica, come la Svizzera o la Germania, ci mostrano che l’unica via per farlo è riciclare due terzi dei rifiuti e bruciare il terzo che rimane».

(IL POST nov. 2018) La raccolta differenziata è, paradossalmente, uno dei fattori principali che stanno causando questa situazione di stallo nella gestione dei rifiuti. In Italia se ne fa sempre di più – nel giro dieci anni si è passati dal 28,5 per cento del 2006 al 52,5 per cento del 2016 – ma succede che spesso venga fatta male, mischiando rifiuti che non andrebbero messi insieme. Gli impianti di riciclo che ricevono questi rifiuti dividono quelli riciclabili da quelli non riciclabili, e finiscono per riempirsi di materiale di scarto da avviare a smaltimento.

C’è poi un altro problema che riguarda la raccolta differenziata, e cioè che se ne fa troppa rispetto alla domanda del mercato. I materiali derivati dal riciclo hanno sempre meno spazio sul mercato, e quello che non si riesce a vendere si prova a mandarlo in discariche o inceneritori. Quando questi ultimi sono pieni, però, può succedere quello che racconta Jacopo Giliberto sul Sole 24 Ore a proposito della plastica: «La plastica che non riesce a finire negli inceneritori viene accumulata dai riciclatori che non trovano acquirenti del prodotto finito, con un rischio grande di incidenti. Oppure finisce in mano alla malavita, che riempie di plastica di capannoni che bruciano». Non è l’unica, ma una delle cause principali del sovraccarico degli impianti è la decisione presa dal governo cinese l’estate scorsa di diminuire le importazioni dei rifiuti plastici e cartacei i: una scelta che ha messo in crisi non solo l’Italia ma tutta l’Europa, che vendeva alla Cina gran parte dei suoi rifiuti differenziati.

E arriviamo così ai molti roghi di rifiuti avvenuti negli ultimi mesi nel Nord Italia, una delle conseguenze più tangibili della grave situazione in cui versa il sistema della gestione dei rifiuti. Per capire la causa di così tanti roghi bisogna fare un passo indietro: con l’articolo 35 del decreto “Sblocca Italia” non si è solo proposta la costruzione di nuovi inceneritori, ma si è anche introdotta una nuova norma sulla gestione dei rifiuti urbani tra le varie regioni.

Se prima dello “Sblocca Italia” i rifiuti urbani indifferenziati potevano essere smaltiti solo nelle zone in cui venivano prodotti, ora è possibile portarli in altre regioni. Questo ha aiutato le regioni del Centro e del Sud – con impianti e discariche spesso piccoli e tecnologicamente arretrati, e che rifiutano più delle altre di costruirne di nuovi – a portare i loro rifiuti nei più grandi impianti del Nord, ovviamente pagando, ma ha avuto diverse altre conseguenze. La prima è che gli impianti che si occupano di smaltimento al Nord si sono ritrovati saturi di materiale da gestire, e per poter continuare a ricevere rifiuti hanno dovuto alzare le tariffe; la seconda è che, con gli impianti pieni e i costi aumentati, sono diventati sempre più frequenti, specialmente in Lombardia, i cadi righi in discariche abusive e capannoni abbandonati. Quello che succede è che alcuni imprenditori, piuttosto che cercare di portare i rifiuti in un impianto di smaltimento a prezzi elevati, preferiscono pagare qualcuno perché stipi i rifiuti in uno dei tanti capannoni vuoti del Nord Italia, a cui poi viene dato fuoco per liberarsi del problema. Ovviamente quello dei roghi non è un fenomeno che riguarda solo il Nord, visto che dal 2014 si sono contati più di 300 casi in tutta Italia, ma – come dice il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – sarebbe ormai “qualcosa di strutturale”.