Giornalisti & magistrati/ Ecco i nomi

(intervista a Piero Sansonetti di Tommaso Montesano) «Non sorprende, almeno a me, che i grandi giornali siano agli ordini – non subalterni, ma agli ordini – dei pm. A me sorprende il silenzio, che su questa vicenda non sia uscito nulla: la notizia è questa. Eppure dentro ci sono i nomi più prestigiosi». Questa è la premessa da cui parte Piero Sansonetti, direttore del Riformista, prima di entrare nel merito della “vicenda”. 

Ovvero i nomi dei giornalisti che compaiono nelle intercettazioni disposte dalla procura di Perugia nell’ ambito dell’ inchiesta sul cosiddetto “caso Palamara”, dal nome del pm romano indagato in Umbria per corruzione. «Insomma», dice Sansonetti, che ieri sul suo quotidiano ha scritto un editoriale al vetriolo sul caso (titolo: «È esplosa giornalistopoli ma i giornali la ignorano»), «per anni questi giornalisti, e i loro giornali, si sono limitati a firmare le intercettazioni in arrivo dalle procure e adesso, solo perché c’ è il loro nome, tacciono? A me non interessa, ma loro – che vivono di relata refero – dovrebbero pubblicarle»

E invece non lo fanno. Perché?

«Perché sono una casta. Proprio come i magistrati: sono due facce della stessa medaglia. Perché il giornalismo italiano dal 1992-’93 ha smesso di esistere, accettando una sorta di vassallaggio nei confronti dei pm. L’ indipendenza non esiste: i giornalisti giudiziari sono agli ordini del partito dei pm».

Il biennio 1992-’93 è quello di Tangentopoli: un caso?

«Ovviamente no. Lì si è aperta la ferita e saldato l’ asse con i pm. È allora che nasce il “pool” dei giornalisti che segue le inchieste di Mani pulite. Il contrario di ciò che dovrebbe essere: alla faccia della concorrenza tra colleghi, tutti insieme si mettono agli ordini dei magistrati. E da allora la situazione è peggiorata».

Qualcuno potrebbe obiettare: è giornalismo d’ inchiesta.

«È inchiesta pubblicare le carte delle procure e dei Servizi segreti? Quando ero più giovane c’ erano le famose buste gialle. Chi le riceveva era guardato con diffidenza. Erano le cosiddette “veline”. Oggi chi fa lo stesso con le carte delle procure è considerato il re del giornalismo».

Veniamo al “caso Palamara”. Quale intercettazione l’ ha colpita di più?

«Almeno due. In una Palamara e il vicepresidente del Csm dell’ epoca, Giovanni Legnini, discutono su come “orientare” La Repubblica. E lo fanno con grande naturalezza, come se il mestiere della magistratura fosse quello di determinare la linea di un quotidiano. Perché questa intercettazione, da parte degli stessi giornali che da anni accettano le veline dei pm, non è stata pubblicata?».

E l’ altra?

«Quella in cui Palamara avanza il sospetto che un illustre giornalista sia legato ai Servizi segreti. Cosa sarebbe successo se un’ intercettazione simile avesse riguardato un politico, ad esempio Gualtieri o Salvini? Sarebbe venuto giù l’ iradiddio. Invece qui, silenzio».

Nelle carte ci sono le firme giudiziarie di Corriere della Sera, Repubblica e Stampa…

«Giornalisti che comandano sui direttori, sugli editori e sugli altri giornalisti. Il giornalismo politico, ad esempio, ha accettato l’ umiliazione e la subordinazione. Con i “giornalisti giudiziari” il giornalismo è morto, ha smesso di esistere perché non è più indipendente: è al servizio del partito dei pm».

Qual è l’ obiettivo di questo partito?

«Il potere. Anche se adesso, come succede a tutti i partiti, è scosso da fratture e lacerato da divisioni interne, come dimostra il “caso Palamara”».

E i leader chi sono?

«Marco Travaglio, Nino Di Matteo, Nicola Gratteri e Piercamillo Davigo. Il giornalismo è loro succube, come prima del 1992 era succube di Dc e Pci. Con una precisazione: allora i giornalisti erano un poco più indipendenti».

Sul Riformista ha scritto che le «grandi campagne moralizzatrici» anti-politica portate avanti sui giornali sulla scorta delle veline delle procure hanno armato il braccio del M5S.

«Come accadeva ai tempi del Pci, i gruppi parlamentari sono il semplice nucleo operativo. I capi sono altrove. Travaglio, ad esempio, è uno dei capi. Gli altri, come diciamo a Roma, “so’ ragazzi”».

Il direttore del Fatto Quotidiano non le è proprio simpatico…

«Il silenzio su questa vicenda dimostra che Travaglio ha imposto la sua legge alla maggioranza degli altri giornali italiani. Del resto sono oltre dieci anni che lo inseguono».

I NOMI (ilcorrieredelgiorno.it) Una delle persone maggiormente presenti nelle intercettazioni è la giornalista barese Liliana Milella del quotidiano La Repubblica, che avrebbe chiamato Palamara (che era una sua fonte) il giorno stesso in cui il quotidiano romano aveva pubblicato la notizia dell’indagine: “La Milella riferisce che ha saputo dell’articolo leggendolo all’1,30 di notte e dice di aver sbagliato a non chiamarlo prima, ma a lei non avevano detto nulla dal suo giornale. Se lei avesse chiamato prima Palamara ‘l’avremmo scritta, ma non in questo modo’. La stessa, in un’altra telefonata, avvisa il pm che la collega Maria Elena Vincenzi sta andando sotto casa sua, probabilmente per cercare di strappare una dichiarazione».

Raffaele Cantone

La giornalista barese sembra molto preoccupata in un’altra telefonata per il destino del magistrato Raffaele Cantone l’ex capo dell’Anac ed alla fine della conversazione addirittura consiglia nomine e strategie per i componenti del Csm : “Potrebbero pure fare la mossa di mandare Cantone da qualche parte (…)? Cioè perché poi alla fine fanno pure un piacere a questo governo che glielo levano dai coglioni”.

Giovanni Bianconi

Uno dei passaggi più imbarazzanti delle intercettazioni riguarda il giornalista Giovanni Bianconi, inviato del Corriere della Sera, giornale che sin dall’esplosione dell’inchiesta si è posizionato in prima fila nell’amplificare giornalistiche le tristi vicende del Csm. Agli atti delle indagini dei magistrati di Perugia ci sono anche delle telefonate per organizzare un incontro di persona con Palamara. Poi per il resto i finanzieri riportano alcune considerazioni di Palamara su Bianconi, che viene definito come “vicino ai servizi segreti” e “cassa di risonanza del gruppo di potere attuale”.

Giuseppe Pignatone

Con queste parole il magistrato Luca Palamara commenta l’intervista di Bianconi all’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone al momento del suo congedo in pensione : “Hai visto ieri che pompino gli ha fatto al Pigna?”. Sempre nel corso della stessa telefonata Palamara, riferendosi a Bianconi aggiunge: “L’altra volta mi è venuto a riparlare di Perugia a me”, cioè dell’inchiesta che al momento era ancora secretata.

Giovanni Minoli

Le Fiamme Gialle in ascolto annotano “l’esistenza di contatti intercorsi tra Palamara e Giovanni Minoli, giornalista saggista e conduttore televisivo”. I due, secondo quanto emerso dalle intercettazioni captate, hanno rapporti stretti di confidenza, e si confrontano sugli articoli pubblicati nel periodo “caldo” del terremoto sulle toghe, prospettandogli la possibilità di rendere un’intervista per la trasmissione “Mezz’Ora in più” (RAITRE) condotta dalla giornalista Lucia Annunziata. Nel periodo monitorato dai finanzieri, tra il 13 marzo ed il 5 giugno 2019 , i due si parlano ben otto volte. In una telefonata Minoli fa addirittura i complimenti a Palamara per un’intervista. Telefonate durante le quali Minoli sembra essere lo “spin doctor” del magistrato.

I due si sentono due volte il 29 maggio 2019. “’La Repubblica è la risposta al Fatto” afferma Palamara e chiede un consiglio a Minoli, poichè il giornalista di Repubblica Claudio Tito, gli aveva chiesto se volesse replicare ma il magistrato è dubbioso e non sa cosa rispondere.

Luca Palamara

Palamara e Minoli si incontrano anche per discutere dell’invito dell’Annunziata, che è stata una delle prime a saltare sull’inchiesta perugina, definita Minoli “pericolosa, perché è dall’altra parte” .

Il 29 maggio 2019, giorno dei primi articoli pubblicati sullo scandalo del Csm, Palamara viene contattato telefonicamente alle 9 del mattino, dalla giornalista Silvia Barocci, autrice della trasmissione dell’Annunziata, e lo invita per la domenica successivo. Il magistrato inizialmente prende tempo, poi la chiama ed accetta, ma con riserva. E annuncia che “se andrà in trasmissione parlerà di cose importantì“.

Prima della trasmissione televisiva il magistrato Palamara si confronta incredibilmente con l’esponente del Pd Giovanni Legnini, ex-vicepresidente del Csm, e gli dice: “Cioè, se Lucia (la Annunziata n.d.r.) mi dà la possibilità… faccio un discorso politico…”. Legnini lo incalza ed incita: “No, tu le cose tue le devi gridà… seguono milioni di persone, viene ripreso dalla stampa”.

Poi imbastiscono una strategia sulla necessità di avviare dei contatti con dei giornalisti ai vertici del quotidiano La Repubblica, per riequilibrare gli articoli usciti su altre testate di fronte avverso, ed attraverso nuovi articoli di stampa, offuscare la figura di Pignatone procuratore uscente della Capitale .

Nicola Zingaretti e Luca Palamara

Tra gli “intercettati” compaiono anche Sandra Fischetti dell’ Agenzia Ansa, Simona Olleni e Rosa Polito dell’ Agenzia Italia, Federico Marietti del Tg5 e Valeria Di Corrado del Tempo. Il giornalista Vincenzo Bisbiglia del Fatto Quotidiano invece chiama Palamara per chiedergli delle informazioni sul conto di sua moglie, Giovanna Remigi, che per quasi tre anni è stata dirigente esterna della Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti. Un ruolo ricoperto dal 2015 al 2017 nell’ufficio staff del direttore Coordinamento del contenzioso nella Direzione Salute e Politiche Sociali alla cifra di 78 mila euro l’anno più retribuzione di risultato. Palamara risponde di non aver fatto pressioni e che la moglie “ha un curriculum di tutto rispetto” aggiungendo “ha un curriculum di tutto rispetto nei più importanti studi amministrativi“”. Sempre dall’inchiesta viene fuori che nel 2017, dopo il rapporto con la Regione Lazio, la moglie di Palamara ha successivamente ottenuto un contratto triennale (ancora in corso) all’Agenzia Italiana del Farmaco.

Nell’informativa della Guardia di Finanza sul tavolo dei magistrati umbri risultano delle chiamate a Palamara anche del giornalista Francesco Grignetti del quotidiano La Stampa, alla ricerca di notizie sull’inchiesta.

Il magistrato Luca Palamara nonostante avesse svolto per anni le funzioni di pm alla  Procura di Roma, ha “abboccato” alla trappola informatica tesa dalle Fiamme Gialle.  All’improvviso la sua linea telefonica mobile aveva avuto dei disservizi (causati ad hoc) ed aveva risposto ad un link che sembrava essere proveniente  da Vodafone. “Gentile cliente stiamo riscontrando problemi sulla linea. Per risolverli, clicchi qui”. Un “click” che si è rivelato fatale per il “terremoto” giudiziario interno all’Organo di autogoverno della magistratura. La strategia del messaggio “fake” da parte del gestore di telefonia era stata consigliata al pm di Perugia, Gemma Milani, dai tecnici informatici del Gico della Guardia di Finanza.

TRAVAGLIO (da www.liberoquotidiano.it) Tra le intercettazioni del caso-Luca Palamara, che sta travolgendo la magistratura, spunta anche Marco Travaglio, il direttore del Fatto Quotidiano. Nella chat rilanciate da La Verità, infatti, spunta anche Anna Maria Picozzi, la pm, la quale affermava: “Io una ragazza già dei nostri su cui possiamo puntare ciecamente ce l’ho. Non so quanti sono i posti disponibili a Palermo ma uno ce lo dobbiamo prendere”.

Dunque, quella che viene interpretata come una vera e propria minaccia al capocorrente, ed è qui che spunta il direttore del Fatto Quotidiano: “Se mi dai buca chiamo Marco Travaglio”. E Luca Palamara le risponde: “Mi sta simpatico”. E non avevamo grossi dubbi al riguardo. Palamara, lo si ricorda, è imputato a Perugia con l’accusa di corruzione. Sospeso dal Csm, parava con due sue colleghe dell’Antimafia a ridosso della votazione per il procuratore di Roma.