Abolire il valore legale dei titoli di studio

Nell’articolo “La scuola immaginaria” dicevo che anche per la didattica a distanza (DAD) ogni scuola è spaccata tra chi la sta praticando e chi ne è esentato sulla base di opinabili decisioni. Chi lavora e chi no prende lo stesso stipendio. Una rilevazione della Cisl su un campione di 2600 scuole, il 30% di quelle presenti nel nostro Paese, ci rivela che la DAD la fanno tutte, ma nell’1,8% dei casi essa è svolta da una minoranza di docenti, nel 62,7% risulta coinvolta la totalità del personale docente e nel 35% dei casi la maggioranza.  Il problema è serio e prima o poi verrà fuori. Ma questi docenti pagati pur senza fare nulla (nel settore pubblico) non sono privilegiati rispetto a lavoratori che non lavorano più nei negozi e nelle industrie che hanno chiuso? La “forza maggiore” vale solo nella scuola? Oggi in un’intervista a Gianna Fregonara (del Corriere) Antonello Giannelli, presidente dell’Anp (Ass. naz. Presidi) ha detto cose molto interessanti.

Che riscontro avete dalla scuole sulla didattica a distanza?
«Direi che praticamente tutte le scuole si sono attivate. Ma c’è molta differenza tra classe e classe. I sindacati hanno detto che non si poteva fare ma gli insegnanti si sono attivati. Il punto è che molti sono impreparati: non si sono aggiornati in questi anni…

Aver detto oggi che tutti saranno promossi, ha tolto un’arma agli insegnanti (e ai genitori) per spingere gli studenti meno motivati a collegarsi per le lezioni, non crede?
«La minaccia della bocciatura o del debito è ben poca cosa comunque: uno studente demotivato potrà anche arrivare al diploma ma poi vediamo che non è preparato, basta vedere i risultati dei test Invalsi. I Paesi migliori del mondo per la didattica, penso alla Finlandia ma anche all’Estonia non prevedono bocciature: si va avanti ma alla fine sul tuo diploma è scritto nero su bianco quello che sai, dove sei arrivato. E se non hai studiato, lì c’è scritto. Da noi non si può fare solo perché c’è il valore legale del titolo di studio».

Lei vorrebbe abolirlo?
«Sì, serve solo per i concorsi pubblici. Chi va all’università, non a caso, deve fare un test di ingresso, perché del voto di Maturità gli atenei non si fidano»

Giannelli, che ho conosciuto ed è un tipo molto pratico ( ha solide conoscenze giuridiche ma non gli piacciono le fumisterie e il burocratese) per la prima volta schiera l’Anp su un obiettivo che sarebbe qualcosa di rivoluzionario per l’istruzione italiana: l’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Immaginate solo per un momento quale cambiamento copernicano sarebbe per la scuola italiana tale abolizione accompagnata dall’abolizione delle bocciature. La scuola italo-gentiliana (quella del vecchio liceo classico) intendeva selezionare la classe dirigente pertanto doveva bocciare (tu sei buono per la laurea, tu invece per il lavoro). La nostra scuola di massa invece oggi deve istruire tutti, compresi svantaggiati e handicappati. Tale missione non si concilia più con le bocciature. Pertanto la proposta sensata è la seguente: lo studente Pasquale viene promosso alla fine di ciascun anno ma ogni pagella (per capirci) riporta i voti reali, fino al diploma. Il diploma che oggi è un pezzo di carta con voti sommativi inventati (non esistono insufficienze) segnalerà, se ci sono, le competenze acquisite. E ogni scuola sarà affidabile se le competenze che certifica (ad es: ottime competenze informatiche e logico-matematiche, ma nessuna competenza linguistica) un imprenditore le ritrova nel diplomato. Oggi all’esame di Stato prendere 100 o 80 non dice nulla su quel che lo studente è o sa fare veramente. Direi che anche gente come me dopo tutta una vita ha contribuito a far passare questa posizione all’interno dell’Anp fino a farla diventare ufficiale per la componente più rappresentativa dei dirigenti scolastici. Indovinate invece chi non accetterà mai l’abolizione del valore legale del titolo di studio? Quelli ( che si autocertificano) di sinistra. Ma io con questa sinistra malinconica del novecento non ho nulla da fare. Perchè “è nella natura stessa delle emergenze (come l’attuale pandemia). Accelerano i processi storici. Decisioni che in tempi normali richiederebbero anni di attenta valutazione vengono approvate nel giro di poche ore” (Yuval Harari, Financial Times). Ad un tratto, per dire, docenti che a scuola non fanno nulla, non insegnano e non sanno neppure usare il registro elettronico, si sono trovati a dover insegnare on line. Continueranno in futuro a non fare nulla ma almeno saranno costretti ad imparare come collegarsi, a farsi vedere dagli alunni, a sapere cos’è G Suite. Una pandemia costringerà ad una svolta digitale la scuola italiana, quella scuola che ancora qualcuno rimpiange non sia più quella dove il maestro usava la bacchetta