GIACOMO PANIZZA E LA DEDIZIONE AGLI ULTIMI

In questa nostra città che oggi io paragono a San Luca, Platì, Isola Capo Rizzuto, per significare la pervasività della mafia, ci sono pochi resistenti che da decenni nuotano controcorrente. Agli inizi degli anni settanta, quando anche a Lamezia c’erano i gruppi extraparlamentari di sinistra, apparve un nostro coetaneo, Don Giacomo Panizza (Pontoglio, Brescia, 1947) fondatore di Progetto Sud. Oggi è un simbolo e quindi tento di spiegare cosa sia diventato ai miei occhi. Uno dei suoi ritratti più veri lo ha fatto Carlo Macrì sul Corriere della Sera nel maggio 2019, al quale rimando (lo trovate sul web). Le nostre strade si sono incrociate per più di un decennio perchè il De Fazio che dirigevo ha collaborato con la comunità Fandango. Per evitare di tenere dotte ma inutili lezioni ai giovani  sulla pericolosità delle droghe preferimmo far incontrare gli studenti con tossicodipendenti impegnati in percorsi di riabilitazione. Solo la vita vera e la sofferenza vissuta possono “educare” i giovani, ecco il nostro pensiero. Poi a maggio don Giacomo veniva a scuola e incontrava i docenti. Ho voluto quindi ogni anno mettere assieme e introdurre a scuola le due caratteristiche fondamentali di Giacomo, i suoi assistiti e il suo “discorso”. Adesso che la Chiesa di Roma ha un santo che la guida, anche la CEI lo considera un simbolo, non solo io. Non so se sia vero, come ha scritto Macrì, che prima ancora che un prete Giacomo si definisca un «rivoluzionario». «Anche Gesù Cristo lo è stato», egli sostiene, bresciano da 43 anni in Calabria. Un passato in fabbrica da metalmeccanico, figlio di operai, decise di entrare in Seminario a 23 anni. «L’arrivo a Lamezia dell’intraprendente don Giacomo spaventò la comunità ignara di avere davanti un don Abbondio all’incontrario, capace di seminare speranza e una nuova cultura della legalità. Fu la condizione di un gruppo di disabili a spingerlo in Calabria per dare loro un aiuto concreto». «Mi trovavo nella comunità di Capodarco, nelle Marche. Incontrai quelle persone in carrozzina che si lamentavano di com’erano trattati in Calabria. Presi il primo treno per il Sud per iniziare un’esperienza di volontariato, unica a quell’epoca».

Panizza negli anni settanta mi colpì perchè parlava con tutti e partecipava sempre alle interminabili riunioni politiche che si tenevano su tutto. Ma non era uno di noi, che eravamo, nel linguaggio, nella postura e nell’abbigliamento, ideologici, e quindi intendevamo assoggettare i compagni di strada perchè l’ideologia è semplice come i discorsi di Salvini oggi: o sei con noi oppure sei contro. Giacomo ascoltava, dialogava ma sin da allora ha seguito solo la sua strada perchè è un pragmatico. E’ il contrario della sinistra ideologica, è un uomo concreto che avrebbe potuto, gli ho detto spesso, fare il manager di un’azienda qualsiasi. Però, oltre a questo non perdersi in chiacchiere, egli è un intellettuale vero, un uomo di fede e di parole. Lo testimoniano i suoi libri, le sue letture, la sua cultura e l’incisività dell’oratoria. Lo testimoniano i suoi occhi, specchio dell’animo. Volete conoscere un uomo? Guardatelo negli occhi, essi non mentono mai. Gli occhi di Giacomo sono chiari e buoni, semplicemente brillano.

Chi parla bene vuol dire che pensa bene. L’umanità si divide in due: ci sono persone che parlano anche per ore senza dire nulla; e altre le cui parole ti aprono mondi. Per fare cronaca e capirci, il grillino Di Battista appartiene al primo settore, semplicemente ignora le cose ma affastella parole come fanno i “sacchi pieni di vento”. Panizza ha carisma e quando parla o scrive ti chiarisce le idee. Non sono un credente ma credo che Dio lo abbia mandato qui per sostenere gli ultimi. ” Da piccolo immaginavo il Sud come un ritaglio d’Italia immerso in un panorama pressochè esotico…Sapevo di famiglie più numerose e di tanta gente a spasso disoccupata. Qui, mi ci è voluto poco per mettere in discussione queste tesi semplicistiche. Mi ci è voluto poco anche per imbattermi nella mafia, che in Calabria si chiama ‘ndrangheta. Fin da subito ho potuto inquadrarla come un’organizzazione più o meno visibile e più o meno nascosta che la fa da padrona, determinando eccessivamente la vita e la storia, l’economia e la politica, la cultura e anche  ciò a cui noi preti teniamo tantissimo: la fede e il libero arbitrio, la spiritualità e la felicità delle persone e delle popolazioni”. Trovatemi un altro che con questa prosa semplice sia capace in poche righe di far capire meglio il cancro del nostro paese. Ha scritto con Goffredo Fofi “Qui ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso”, stupendo, e con don Dario Ciani, don Andrea Gallo e don Gino Rigoldi ha pubblicato nel 2011, per Einaudi Stile Libero, l’imperdibile “Dov’è Dio. Il Vangelo quotidiano secondo quattro preti di strada”, curato da Pierfilippo Pozzi. A me ha regalato un libricino, “La mafia sul collo” che ho letto avidamente. Di tanto in tanto lo riapro per leggere la più bella dedica che mi hanno fatto: “A Francesco e alla bellezza di capire capire capire…se c’è qualcuno che insegna”. Ecco chi è uno dei migliori Insegnanti che io abbia conosciuto. Alla bellezza, Giacomo.