PER CAPIRE CHI PAGA LE TASSE IN ITALIA

Chi paga e finanzia il nostro welfare? Poco meno di 5 milioni di dichiaranti (con redditi superiori ai 35 mila euro annui), il 12% degli italiani, pagano quasi il 60% di Irpef. Mentre il 10% di tutta l’Irpef viene versata dal 60% dei contribuenti, lavoratori dipendenti compresi. Secondo i sindacati le imposte le pagano solo i pensionati e i lavoratori dipendenti. E’ vero ma il sindacato rappresenta ben pochi di quelli che le pagano: nel 2018 i pensionati erano poco più di 16 milioni. Di questi, 8 milioni non pagano imposte perchè vengono assistiti dallo Stato (cioè da quelli che pagano le tasse) in tutto o in parte. I primi 10 milioni di pensionati pagano 2 miliardi di Irpef. Quelli che pagano la maggior parte dei 50 miliardi che gravano sulle pensioni sono coloro che hanno assegni da 2500 euro lordi in su, sono meno di 1,6 milioni (cioè il 10%) ma versano il 60%. Sono pochi e quindi vengono tartassati perchè nessuno li difende. Dal 2006 ad oggi un pensionato con un assegno mensile di 2500 euro ha perso quasi 30 mila euro, cioè in pratica una annualità di pensione, e nei prossimi a 10 anni ne perderà altrettanti. Tutto ciò perchè i governi hanno bloccato l’indicizzazione della pensione al costo della vita. I pensionati d’oro, che sono lo 0,20 del totale, sono 36 mila e a loro hanno tagliato la pensione senza alcuna giustificazione e ottenendo un gettito ridicolo, solo per arroganza populista.
Sulla base delle ultime dichiarazioni Irpef risulta che il 46% degli italiani (i primi 2 scaglioni di redditi) paga meno del 2,7% dell’intera Irpef (4,32 miliardi), ma per la sanità ne riceve ben 47. Aggiungendo il terzo scaglione ricaviamo che i primi 3 scaglioni di redditi versano in totale 15,8 miliardi di Irpef ma ne ricevono per le sole cure sanitarie 51,2 miliardi. Quindi il 10% di tutta l’Irpef viene versata dal 60% dei contribuenti, lavoratori dipendenti compresi. (Dati forniti da Alberto Brambilla, su Corriere della Sera- Economia, 7/10/2019)
Far sì che la crescita aumenti e il debito non salga: questi due comandamenti dovrebbero essere rispettati da qualsiasi forza politica responsabile per l’oggi e il futuro. Ma in Italia non è così. Tra il 2000 e il 2019 la nostra spesa pubblica primaria è cresciuta in termini nominali del 60,8% mentre il Pil è cresciuto solo del 42,8%. Anche nel 2020 avremo una legge di Bilancio in deficit, che aumenterà il debito. Come se l’operazione fosse a costo zero e non pagassimo già 60 miliardi di interessi sul debito ogni anno. L’operazione di gestione del debito, secondo gli economisti, è fattibile se il tasso di crescita è superiore a quello degli  interessi pagati a quelli che ti prestano i soldi. Purtroppo non è così da anni. Un sistema di regole fiscali basate sul controllo della spesa e sulla riduzione del debito dovrebbe essere, come scrive Nicola Rossi, musica per le orecchie del centrodestra. Significherebbe restituire ai cittadini la libertà di gestire le proprie risorse; inoltre diminuire l’intermediazione del pubblico potrebbe significare eliminare qualche freno per la crescita. Ma il centrodestra italiano in politica economica appare una sinistra diversamente abile. Sinistra e destra, magari il centro, sono tutti dipendenti dalla spesa pubblica e dal debito. La disciplina di bilancio che si trasformi in uno strumento di libertà per i cittadini non piace a nessun politico.