TOMMASO CIRIACO/ 5 MAGGIO 2002

Il mio titolo preferito è: uno contro ottantamila. Oppure: ecco come me la sono cavata il 5 maggio 2002. Una premessa: c’è un 5 maggio scolpito nella storia e c’è il 5 maggio dei bianconeri. Puoi perdere cinque finali di Champions consecutive, ma ti resta sempre quel cinquemaggioduemiladue. Mattino, cornetto e caffè. C’è il sole. Radio. ‘’Stadio Olimpico in Roma, Lazio contro Inter, per i nerazzurri è il giorno della festa scudetto’’. Devo studiare per un esame, il primo della sessione estiva, non posso volare fino a Udine per la Juve. Dico: vado a tifare Lazio. Se vince contro l’Inter, la Juve è miracolosamente campione. Ma la Juve questo scudetto l’ha già perso, praticamente. L’Inter l’ha già vinto, praticamente. Chiamo papà e gli dico: ma tu la vedi quella minuscola fessura tra un ‘praticamente’ e l’altro? ‘’C’è, c’è’’, mi dice papà. Compro il biglietto. Motorino a palla, scalinata dell’Olimpico divorata tre gradini per volta. C’è sempre il sole. Ventimila tifano Inter, sessantamila tifano Lazio, ma siccome sono gemellati con l’Inter, tifano Inter. E poi ci sono io. Da solo. O meglio: con papà, al telefono. Facciamo così, perché viviamo lontani. Ma il calcio, la Juve, il calciatore migliore del mondo resta papà e quindi in trasferta ci vado comunque, con lui. Sempre. Quando avevo otto anni mi portò a vedere Italia-Argentina, mondiali 1990. Ricordo un dolore accecante, tanti napoletani che all’inizio tifavano per Maradona, ma alla fine intorno a me piangevano tutti comunque, forse aggiusto i ricordi per curare la delusione. Pensiamo a questo 5 maggio, però. Papà mi dice: si può, si può. Servirebbe un miracolo. E invece: zero a uno. È finita. Torno a studiare, cinque minuti e torno a casa. No: uno a uno. I laziali non esultano, fischiano. Fischiano? Sì, sono ottantamila che tifano Inter. Sono uno contro ottantamila. Uno a due. È finita davvero. No, non ancora: due a due. Vuoi vedere che.. chiamo papà alla fine del primo tempo. Non prende. Non c’è campo per l’unico che tifa Lazio, cioè Juve, su ottantamila. Penso ai tifosi del Chievo, che vanno in cinquanta in trasferta: loro sì che sono tanti. Secondo tempo: perché allo stadio si gela se ci sono trenta gradi? Tre a due, ecco perché. Ora esulto, ora. Macché: ‘’Mercenari’’, cantano i laziali, la curva contro la propria squadra. Quattro a due. Ora esulto, uno contro ottantamila e succeda quel che deve succedere. Macché, non si può: cerco una faccia amica, possibile che non ci sia? Vedo un bimbo. Avrà otto anni. Tifa Lazio. È felice, si sono qualificati per la coppa UEFA, anche se nessuno allo stadio se ne accorge. Sento il bisogno di correre via, gridare, saltare, ballare. Prendo il motorino, sbaglio strada e invece di andare verso Prati finisco su corso Francia. C’è sempre il sole. Chiamo papà. Io piango, lui ride. Sappiamo che resterà la partita più bella. Che da oggi abbiamo un giorno speciale, cinquemaggioduemiladue, anzi no, cinquemaggio e basta, come quando scrivi NYC o LA. E sappiamo che bisogna crederci, sempre. Anche uno contro ottantamila. (Repubblica, La partita della vita, 17/9/2019)