LA FOLLIA DI TORNARE AL PROPORZIONALE

Adesso vi spiego perchè Renzi, ma non sarà il solo, si farà la sua lista. La riforma dei meccanismi elettorali è uno dei punti di programma concordati tra M5S e Pd durante le recenti trattative per arrivare al Governo Conte bis. L’accordo prevede un potenziamento del metodo proporzionale a scapito del maggioritario che ha regolato le elezioni del 4 marzo 2018 (il cosiddetto Rosatellum). Subito dopo il preannunciato taglio dei parlamentari (saranno ridotti da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori), occorrerà modificare le norme per eleggere il Parlamento in questa composizione ridotta e ridisegnare (pare siano già pronti) i collegi elettorali. Attualmente, nei collegi uninominali, vengono eletti il 37% dei parlamentari: vince solo il più forte, il candidato più votato, che così viene eletto in Parlamento. La quota maggioritaria, insomma, favorisce in partenza i partiti maggiori. La riforma in arrivo vorrebbe eliminare questo metodo e ripristinare il sistema proporzionale puro. In questo modo se la Lega correrà da sola contro tutti dovrà superare il 50% dei voti per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari.

Resto uno dei pochi (con Prodi) a preferire l’attuale sistema maggioritario e spiego i motivi. Nessuno lo ricorda più ma il 1993 ci fu un referendum in cui gli italiani scelsero il maggioritario. Con l’abrogazione della legge elettorale del Senato veniva doppiato il successo che si era avuto nel 1991 con il voto per la preferenza unica, rovesciando il principio proporzionalistico a favore di quello maggioritario. Alla vigilia del voto del 1993 la maggior parte dei partiti si schierò per il maggioritario, mentre a favore del proporzionale rimasero Craxi, Rifondazione comunista, la Rete, il Msi.  Insomma, da sempre in Italia i proporzionalisti sono: estrema destra, estrema sinistra e chi vuol fare il Ghino di Tacco. Vediamo perchè. Con il maggioritario le coalizioni si fanno prima di andare al voto così da consentire ai cittadini di sapere quali forze politiche tra loro alleate andranno a sostenere; nel proporzionale, invece, le alleanze si fanno dopo le elezioni, attraverso lunghi ed estenuanti negoziati tra i partiti in base alla loro forza parlamentare raggiunta. Il capo del governo non è il risultato diretto della scelta dei cittadini, ma di quella successiva dei partiti, che solo dopo le elezioni e in base ai risultati ottenuti si mettono d’accordo e scelgono, com’è successo a Conte, il presidente del Consiglio. Il proporzionale favorisce le manovre tattiche interne al Palazzo, mentre il maggioritario impone in partenza scelte chiare. Niente è perfetto, anche il maggioritario ha i suoi limiti, il primo dei quali sta in coalizioni troppo larghe fatte per vincere che poi, alla prova del governo, si rivelano rissose e impossibili da tenere insieme (si veda l’asse da Mastella a Turigliatto del governo Prodi). Ma in compenso il maggioritario con le elezioni comunali sta fornendo buona prova di sè. Per arrivare a ripristinare il proporzionale ci sono ancora dei punti da chiarire che riguardano la soglia di sbarramento per accedere in Parlamento: attualmente, è al 3% (le coalizioni possono arrivare al 10%), la riforma avrebbe voluto alzarla al 5%, ma questo non sarebbe gradito a Leu ed a Più Europa che rischierebbero di non superarla. C’è anche la preoccupazione di Zingaretti di contenere la quota del suo partito fedele a Matteo Renzi, evitando che si stacchi dal Pd e formi un partito a sé. Per questo da un lato c’è chi vorrebbe abbassare la soglia e chi vorrebbe, invece, alzarla. Infine, un’altra “mini riforma” della Costituzione potrebbe consentire anche ai diciottenni il voto per il Senato (fissato oggi a 25 anni) e attuare l’istituto della “sfiducia costruttiva”, in modo tale che il Parlamento possa togliere la fiducia al governo solo se viene indicata già in quel momento un’alternativa concreta, cioè il nome del nuovo premier e la maggioranza che dovrà sostenerlo. ( grazie a Paolo Remer)